“A vederlo in Tv non mi sembra nemmeno lui, è troppo serio”. Questa l’impressione che Francesco Zardini, portiere classe ‘76 del Rivolto (Prima categoria), ha del suo ex compagno di squadra Andrea Stramaccioni (nella foto assieme ai tempi del Bologna, stagione 1994/95). Sì, proprio lui, il mister bianconero. Nella sua esperienza durante le giovanili del Bologna, Strama aveva un amico a cui era molto legato: il friulano di Codroipo che oggi lo guarda alla tv mentre lavora nella gastronomia di famiglia a Spilimbergo.
Avevano 13 anni quando hanno fatto assieme il provino per il Bologna e sono entrati nelle giovanili. “Allora – svela Zardini – il club rossoblu prese me e non Gianluigi Buffon, con il quale avevo fatto le selezioni”. In Emilia hanno condiviso 5 anni di crescita e di calcio, prima che l’infortunio di Andrea e i tagli decisi dal patron di allora, Giuseppe Gazzoni Frascara, li dividessero. Poi, come spesso capita, i due amici per la pelle si sono persi di vista, salvo ritrovarsi di fronte per cinque minuti nel ritiro estivo di Arta Terme la scorsa estate: il romano come allenatore dell’Udinese, il friulano da tifoso al seguito della sua squadra del cuore. Si ritroveranno di frotne, da avversari, il 28 maggio in amichevole a Rivolto alle 16.30.
Che ricordi ha del giovane Stramaccioni?
“E’ sempre stato un tipo deciso, con grande personalità, Andrea. Agli allenamenti, mentre tutti noi pensavamo solo a correre dietro al pallone, lui cercava il confronto con l’allenatore di turno per chiedere spiegazioni, per capire, per imparare. Era uno molto intelligente, si vedeva che anche a scuola era più avanti degli altri: la sua priorità era la laurea, cosa a cui nessuno di noi ambiva”.
Si dice fosse un giocatore promettente. Conferma?
“Le qualità le aveva: piedi buoni, altezza giusta, movimenti in scioltezza che ne denotavano la personalità. Io ero portiere, lui il difensore centrale. Eravamo sempre ‘legati’, anche in campo”.
Da portiere,si fidava di lui?
“Sì, anche se aveva il vizio di scartare l’attaccante avversario. A me venivano i brividi, lui invece mi tranquillizzava: ‘O io o tu la risolviamo sempre’, mi diceva”.
Già allora denotava quella vena scherzosa che ha mantenuto?
“Spesso in campo scherzava, ma anche fuori. Ricordo quando a colazione ci metteva il pepe nelle tazze: noi, ancora assonnati, soffiavamo dentro per levarlo e ci finiva negli occhi”.
Aveva già il codazzo di ammiratrici?
“Sì, perché era molto ‘alla mano’ e faceva tipo. E’ stato l’unico a portarsi la moto nel centro sportivo. E fu la prima che guidai: eravamo davvero molto amici”.
Per 5 anni avete vissuto nella struttura di Casteldebole. E’ vero che eravate compagni di stanza?
“Sì all’inizio. Poi però lui non ha resistito a stare fuori città e si è cercato un appartamento in centro a Bologna. E’ uno che ha bisogno del contatto con la gente, ama il centro città”.
Lo immaginava allenatore?
“Si vedeva che già da ragazzino era portato per quel mestiere. Lui è uno che si dedica anima e corpo al calcio, non lascia nulla al caso. Ha una passione innata per il mondo del pallone: la mattina si svegliava presto e chiamava gli amici a Roma per giocare al Fantacalcio. Non mi ha stupito la carriera che ha fatto. Quando si è infortunato ero lì: pensavo che alla fine si sarebbe rimesso a posto e avrebbe continuato a giocare. Ma ha scelto comunque la strada giusta per lui. Da tifoso mi auguro resti sulla panchina bianconera”.
Apprezza l’attuale Udinese?
“Sì, ha giocatori che mi piacciono come Kone e Thereau. Non credo manchi la qualità, ma evidentemente è una annata strana”.
Quale, secondo lei, è il suo modulo preferito?
“A quei tempi andava di moda il credo di Sacchi, la zona, il 4-4-2. Ma credo che la disposizione preferita da Andrea sia quella che ha scelto a Udine, il 3-5-2”.