La Giustizia in Italia costa sempre più cara. E non parliamo dei tempi lunghissimi necessari per concludere un processo, della chiusura delle sedi periferiche che costringono i cittadini lontani dai capoluoghi a subire l’inevitabile taglio dei servizi o delle parcelle degli avvocati.
Questa volta parliamo del pesante rincaro subito dai bolli che si pagano in tribunale quando si tratta di iscrivere a ruolo una causa o di impugnare una semplice contravvenzione. La novità, decisamente sgradita, è contenuta nel Decreto Renzi-Madia dedicato alla riforma della Pubblica amministrazione e passato alle cronache come “Decreto del Fare”. Tra le numerose previsioni di questo testo, infatti, sono contenuti i sostanziosi aumenti del cosiddetto Contributo unificato che, dal 25 giugno scorso, ha innalzato del 15 per cento il suo ammontare, calcolato in base a scaglioni legati al valore delle cause. Di fatto, il contributo più basso, quello riservato alle cause di valore inferiore ai 1.100 euro, non sarà più di 37, bensì di 43 euro. Eppure, fanno notare in molti, il ricorso al giudice di pace, a causa dell’aumento del contributo unificato, è divenuto paradossalmente più caro di certe multe che si vorrebbe contestare, tanto più che il Governo Letta aveva introdotto lo scorso anno lo sconto per chi paga entro cinque giorni dal ritrovamento del micidiale foglietto rosa sul parabrezza.
Record del rincaro
Il record dell’aumento era stato toccato a inizio anno quando il bollo da pagare per iscrivere a ruolo le cause è passato da 8 a 27 euro, con un balzo del 330 per cento, ma gli aumenti ci sono stati anche per l’imposta di registro e incidono tanto più pesantemente, quanto meno importanti sono in termini di valore le cause, come nel caso delle liti condominiali, da sempre vere e proprie fucine di procedimenti legali.
In teoria, l’aumento del 15 per cento del contributo è stato deciso per far fronte ai minori introiti derivanti dall’introduzione del processo telematico che permetterà agli avvocati di ricevere le copie dei vari atti legali senza dover ogni volta sborsare euro in marche da bollo.
A voler essere realistiti, come accade spesso, lo Stato con una mano dà e con l’altra toglie, senza che sia possibile trovare differenze sostanziali a seconda del capo di Governo in carica e del suo credo politico.
C’è però un altro aspetto che più di qualche esperto sottolinea: ovvero che l’aumento costante di questi balzelli ha lo scopo non dichiarato di scoraggiare i cittadini a ricorre ai servizi della Giustizia rendendoli sempre più insostenibili economicamente. Questo assunto pare ampiamente dimostrato dalle cifre esorbitanti ormai necessarie anche per i ricorsi al Tribunale amministrativo regionale o al Consiglio di Stato. Far pagare 300 euro a un cittadino che chiede al Tar di pronunciarsi sul diritto di accedere agli atti amministrativi significa semplicemente negare questo diritto.
Paga anche chi vince
E se si vince la causa? In teoria, le spese legali andrebbero pagate dalla parte soccombente, Stato compreso, ma non sempre è così.
Molti magistrati decidono spesso di compensare le spese tra le parti, con il solo risultato che chi ha avuto ragione deve comunque dire addio agli euro spesi per il giudizio. Non resta che sperare, in questo caso, che passi in Parlamento la norma che imporrà il pagamento delle spese legali a chi perde, che si tratti di processo civile o amministrativo. Anzi, aggiungiamo un auspicio: che nel processo penale, in caso di querela di parte e di assoluzione piena, le spese legali non siano comunque pagate da chi è risultato innocente, ma da chi lo ha ingiustamente querelato, come spesso avviene nelle querele per diffamazione a mezzo stampa.