E’ molto economico, resiste all’irrancidimento, è insapore e garantisce morbidezza agli impasti. Per questo l’olio di palma è diventato un ingrediente onnipresente in moltissime preparazioni alimentari industriali, sostituendo quasi completamente burro, extravergine di oliva, margarina e altri olii (come quello di arachide o girasole). La sua massiccia diffusione sta creando un vasto ‘fronte del no’, che si basa su motivazioni etiche/ambientalistiche – la sua coltivazione intensiva sta provocando gravissimi danni soprattutto nel Sud Est Asiatico (specie in Indonesia, principale Paese esportatore), impoverendo le popolazioni locali, causando la distruzione degli ecosistemi e la morte di molti animali, a partire dagli oranghi – ma anche di carattere salutistico.
Un vero ‘prezzemolo’
Va detto che Oms, Agenzia europea per la sicurezza alimentare e il nostro Ministero per la Salute non lo vietano anche perché, al momento, non esistono studi scientifici che dimostrino la sua nocività o la correlazione con lo sviluppo di malattie. Ma molti nutrizionisti lanciano un campanello d’allarme: si tratta di un olio di qualità mediocre (per anni, infatti, è stato ‘nascosto’ sotto la dicitura ‘olii e grassi vegetali’) ed essendo un concentrato di acidi grassi saturi (quelli legati a un innalzamento dei livelli di colesterolo), un suo consumo eccessivo può provocare problemi cardiocircolatori.
Il punto cruciale sta proprio nelle quantità. Essendo presente in una vastissima gamma di dolci e prodotti da forno (in molti casi al posto di grassi idrogenati, come la margarina, da tempo bollati come ‘cattivi’), il rischio è quello di consumarne troppo senza rendercene conto o senza nemmeno saperlo. L’assunzione giornaliera di dosi elevate di questo ingrediente, ricordano i nutrizionisti, può risultare dannosa per la salute. E questa ipotesi si verifica più spesso di quanto si creda, visto che il palma si trova nella maggior parte degli alimenti trasformati, specie in quelli più diffusi e popolari tra i giovani.
Per capire la presenza capillare di questo grasso di origine tropicale, basta leggere le etichette al supermercato: in molti casi, vi accorgerete che il 90 per cento (e oltre) dei cibi come biscotti, merendine, snack dolci e salati, grissini o cracker lo contengono. E, di norma, figura tra i primi ingredienti in lista, ovvero tra quelli utilizzati in maggior quantità.
Raccolta firme
Per queste ragioni, da tempo sono iniziate delle campagne popolari che, in Italia, hanno trovato come principale promotore il sito ilfattoalimentare.it che ha lanciato una petizione (già oltre 140.000 firme) per chiedere il divieto – o almeno una limitazione – dell’utilizzo di questo olio.
Leggere le etichette
Molte aziende e diverse catene di supermercati, nel frattempo, hanno già colto il segnale dei consumatori e si sono attivate per sostituirlo – in tutto o in parte – con altri grassi (su ilfattoalimentare.it si trova l’elenco aggiornato dei prodotti ‘olio di palma free’). Il nostro consiglio, quindi, resta quello di leggere con attenzione le etichette (soprattutto degli alimenti che consumiamo con maggiore frequenza o regolarità). Le nuove normative europee, per fortuna, obbligano a specificare chiaramente cosa contengono i cibi e ci danno la possibilità di scegliere, con maggiore consapevolezza, quali alimenti portare in tavola. L’informazione è il principale strumento a nostra disposizione. Ricordando che i prodotti freschi, artigianali e locali, dovrebbero essere sempre preferiti in un’alimentazione sana ed equilibrata.