A poco più di tre anni dalla sua approvazione, a che punto siamo con la riforma del nostro Sistema sanitario? Guardando i risultati fino qui ottenuti, si potrebbe dire che il riordino dell’universo sanitario regionale – almeno per il momento – è ancora zoppo. Già, perché la riforma sanitaria poggia su due gambe: da una parte ci sono la riorganizzazione delle aziende e, soprattutto, delle strutture (in particolare del numero dei posti letto), dall’altra il rafforzamento dell’assistenza primaria, in particolare con la riconversione di quattro ospedali (Sacile, Gemona, Maniago e Cividale) in presidi ospedalieri per la salute e la creazione dei Centri d’assistenza primaria, i Cap.
Meno posti in corsia: a tagliarli è stata soprattutto la città di Trieste
Il primo caposaldo della riforma pare essere conquistato. Le sei Ass di un tempo sono diventate le cinque Aas/Asui, assorbendo le Aziende ospedaliere (Pordenone) e ospedaliero-universitarie (Trieste e Udine) che un tempo facevano storia a sé. E sul fronte dei posti letto, nelle ‘Linee annuali per la gestione del Servizio sanitario e sociosanitario regionale’ per il 2018 afferma che “dall’approvazione della delibera 2673 del 2014 il numero di posti letto di assistenza ospedaliera è stato portato, da parte di quasi tutte le Aas/Asui/Irccs, progressivamente ai valori previsti”.
Detto in altri termini, ovvero in cifre, i posti letto ordinari sarebbero passati dai 3816 del 2014 ai 3530 previsti dalla delibera, mentre quelli in regime di day hospital sarebbero calati da 513 a 350. Un taglio di 579 posti letto per acuti, il 40 per cento dei quali – per la precisione 232 – a Trieste.
Da nosocomi a presidi: le quattro strutture riconvertite
In questi tagli è compreso anche l’azzeramento dei posti letto degli ospedali che sono stati trasformati in presidi ospedalieri per la salute – invenzione tutta nostrana -, una sorta di Distretto con alcune funzioni in più proprie degli ospedali. La stessa legge di riforma recita, all’articolo 34, che i quattro nosocomi già citati “sono riconvertiti per lo svolgimento di attività distrettuali sanitarie e sociosanitarie”. Si tratta di una via di mezzo tra ospedale e strutture di assistenza primaria. Non solo perché nel testo di legge compaiono sia nel capitolo della riforma dedicato a queste ultime strutture, sia in quello riguardante l’organizzazione l’assistenza ospedaliera, ma soprattutto perché riuniscono le strutture intermedie (per esempio l’hospice, l’ospedale di comunità e le rsa), servizi distrettuali, servizi ambulatoriali (“compresi la dialisi e la radiologia tradizionale”, dice la norma) e un punto di primo intervento. Ai presidi per la salute sono stati assegnati complessivamente 222 posti letto destinati ad assolvere diverse funzioni: dialisi, riabilitazione, malati terminali, cronicità, post acuzie e stati vegetativi.
Lo ‘sportello unico’ del paziente cronico stenta a decollare
E infine ci sono – o, almeno, dovrebbero essercene di più – i Centri di assistenza primaria, il vero punto dolente della riforma. Dopo tre anni, infatti, i Cap inaugurati sono poco più di una decina (per la precisione 14), mentre nelle previsioni della riforma il loro numero doveva essere ben più alto. Stando al testo (all’articolo 20, comma 5), il bacino d’utenza di un Cap è di norma compreso tra 20mila e 30mila abitanti. Quindi, facendo due semplici calcoli, in regione ce ne dovrebbero essere almeno 48 per un massimo di 60.
E che su questo fronte si sia andati davvero a rilento lo si evince anche paragonando le ‘Linee annuali per la gestione del Servizio sanitario e sociosanitario regionale’ pubblicate negli anni precedenti. Nel 2015 e nel 2016, infatti, era stata prevista la realizzazione di “almeno 2 Cap per Azienda” entro il 31 dicembre, mentre in quello dell’anno scorso si leggeva che, in previsione, “in ogni Azienda sono presenti non meno di 4 Cap”.
Auspici che non hanno ancora trovato conferma nella realtà: oggi ne dovremmo avere ben 20 già in funzione. E nell’ultimo documento nulla viene scritto a proposito degli obiettivi da raggiungere entro il prossimo Capodanno. Solo nel Documento di economia e finanza regionale 2018 si afferma che “si prevede l’apertura di quattro Centri di assistenza primaria per ogni Aas”. La giunta, comunque, ha annunciato (vedi pagina 9)l’avvio nel 2018 del Cap di Cormons e la programmazione dei Cap di Palmanova, Tavagnacco e Povoletto.