Si intitola ‘La lama di Procopio’ la nuova mostra collettiva d’arte contemporanea che si apre sabato 5 al Nuovo Spazio di Casso. Realizzata grazie alla collaborazione tra Dolomiti Contemporanee e la Collezione AGI Verona di Anna e Giorgio Fasol, vede esposti i lavori di 22 giovani artisti internazionali selezionati dalla stessa collezione, che arrivano nel ‘nido d’aquila’ di Casso, nel cuore del Vajont, in uno spazio espositivo che sta di fronte al Monte Toc e alla Tragedia del Vajont, per contrastarne l’egemonia predatoria.
Fino al 1° ottobre, gli artisti scelti – Gundam Air, Stuart Arends, James Beckett, Gianni Caravaggio, Etienne Chambaud, Cristian Chironi, Ode de Kort, Marcelline Delbecq, Franklin Evans, Corinna Gosmaro, Jirì Kovanda, Maria Laet, Renato Leotta, Davide Mancini Zanchi, Ivan Moudov, Pratchaya Phinthong, Michael Sailstorfer e Heinert Jürgen, Alexandre Singh, Marko Tadic, Eugenia Vanni e Christian Manuel Zanon porteranno l’arte in un contesto critico, con un progetto sperimentale. Le opere entrano in relazione con lo spazio e il tempo di un luogo quasi sospeso in una contrazione della storia e contribuiscono a rigenerare il paesaggio umano, culturale, storico del Vajont. Portare qui l’arte è un’impresa di per sé: la relazione tra l’arte e le problematicità umane è un indicatore della qualità e della profondità della ricerca, che non si esaurisce nell’equilibrio degli allestimenti. O forse sì, ma non è semplicemente lo spazio di una mostra quello in cui ci si muove in questo caso: allestire a Casso è, infatti, sempre allestire il senso dello spazio in un paesaggio della criticità.
L’arte diventa così una pratica culturale responsabile: la voce dell’uomo che scava, perché c’è. La collaborazione con la Collezione AGI Verona è importante in questo senso. Si manifesta, infatti, la volontà congiunta del collezionista e dei curatori di Dolomiti Contemporanee di generare un moto intellettuale sensibile, affrontando le complessità dello spazio e del senso: e questo dovrebbe essere il mandato primo dell’arte. Le opere escono dai circuiti abituali, talvolta sclerotizzanti, per salire in montagna, affrontarne le sue pareti, le sue durezze, i suoi crinali, le sue frane. Per concepire nuove immagini e paesaggi, per rinnovare le terre dell’uomo che stanno dentro alle loro menti e nel cuore.