Ormai l’Europa va stretta per tutte le aziende che vivono di export. Per loro ci sono all’orizzonte interessanti opportunità: infatti, il proliferare di unioni doganali e il contemporaneo innalzamento di barriere ‘non tariffarie’, come le certificazioni, stanno creando ‘finestre’ di business in cui è importante entrare in maniera tempestiva e preparata. Ovviamente, tutto questo non è affatto semplice, specie per un’impresa che non vanta una dimensione organizzativa adeguata. A indicare il percorso più agevole è Roberto Corciulo, presidente di IC&Partners Group, la società di consulenza di Udine con sedi in tutto il mondo.
In generale, come avvertite sia cambiato l’atteggiamento delle Pmi friulane nei confronti del business internazionale? C’è stata la tanto auspicata evoluzione culturale?
“Gli ultimi dati, diffusi da Unioncamere, annunciano un aumento del 9% per l’export delle imprese locali, destinato soprattutto a Paesi europei. È un dato positivo che va letto come il risultato dell’impegno delle imprese friulane verso l’internazionalizzazione. L’evoluzione culturale richiede tempo per essere condivisa e, soprattutto, implementata in azienda. Senz’altro si è innescata, ovvero è chiara a tutti la necessità di guardare ai mercati esteri come opportunità di crescita visto che il mercato locale e nazionale è stagnante. Le imprese friulane, per oltre il 68%, rimangono però ancora legate al contesto europeo che è considerato ‘mercato domestico’, perché è vicino, lo conoscono, ne conoscono la cultura, ed è quindi gestibile anche per la piccola dimensione delle aziende. La vera partita si sta giocando, invece, in aree più lontane, quali Asia, Africa, India, Russia, per citarne alcune, dove le nostre piccole aziende fanno molta fatica ad arrivare.
Anche noi come IC&Partners abbiamo definito il nostro piano di sviluppo che prevede l’internazionalizzazione continua. Fin dalla fondazione, vent’anni fa, abbiamo iniziato ad aprire sedi nell’Europa dell’Est, come Russia, Polonia e Serbia, perché avevamo compreso le potenzialità di quei mercati. Il nostro core business è accompagnare le imprese nel processo di internazionalizzazione in maniera efficace ed efficiente, noi stessi siamo coinvolti nel processo di crescita all’estero. Dopo Cina, Hong Kong e Vietnam, la sede di Houston negli Usa ci vede pionieri in Texas; siamo gli unici consulenti italiani presenti al di sotto di una linea immaginaria che collega Miami e Los Angeles, pronti ad accogliere le imprese italiane che desiderano sbarcare in un mercato dalle grandi potenzialità, con un importante tasso di crescita. Basti pensare che se il Texas fosse uno Stato a sé stante, la sua economia sarebbe la tredicesima del mondo”.
Nel mondo si assiste a un processo di arroccamento protezionistico dei mercati, oppure a una apertura che può dare nuove opportunità di business per le nostre aziende?
“Siamo in una fase storica in cui c’è una forte spinta all’aggregazione in macro aree commerciali, come l’Unione euroasiatica, quella africana, il Nafta, il Patto andino, dove i prodotti circolano liberamente, ma allo stesso tempo ci sono significative barriere non tariffarie, soprattutto nella definizione delle regole per l’immissione al consumo. Queste barriere richiedono certificazioni e processi di qualità che portano molte volte le aziende ad abbandonare il progetto di esportazione e internazionalizzazione ancora prima di fare valutazioni oggettive sui costi, soltanto per la paura ad affrontare certi percorsi”.
In particolare, la nuova unione doganale euroasiatica cosa porterà?
“Nel caso dell’Unione doganale euroasiatica di Russia, Bielorussia e Kazakhastan, nata nel 2012 e frutto di un processo avviato già da diversi anni, si tratta di una forma di integrazione economica di tre Paesi per favorire il libero scambio delle merci al loro interno, in un mercato che globalmente vale 180 milioni di consumatori. È chiaro che si ispira ad altri poli economici mondiali esistenti, come l’Unione Europea.
L’unione doganale ha imposto nuove regole per la certificazione delle merci: significa che le imprese che esportano in questi Paesi dovranno adeguarsi. Le novità creano sempre diffidenza e insoddisfazione; noi di IC&Partners le consideriamo un potenziale vantaggio competitivo: l’azienda che per prima riuscirà ad adeguarsi alle nuove norme, entrerà sul mercato in regola prima dei suoi competitor, acquisirà posizioni migliori in termini di immagine e commerciali puri. Anche per questo tema abbiamo creato una business unit dedicata, Ic Trade con sede a Mosca, che si occupa del tema delle certificazione accompagnando le imprese sul mercato nel rispetto delle nuove regole”.
Come è meglio che le aziende si adeguino a questa novità per cogliere tutte le opportunità?
“Nel caso delle certificazioni per l’unione doganale e, più in generale, per iniziare il percorso verso l’internazionalizzazione le strade sono due: make or buy. Come dire: fare da soli o rivolgersi a consulenti che impostino il business plan e accompagnino l’azienda per un certo periodo, finché acquisisce le competenze, le tecniche e le tattiche di lavoro su un determinato mercato.
IC&Partners offre ai clienti che abbracciano una politica di sviluppo all’estero la consulenza strategica e anche i servizi professionali amministrativi, legali e fiscali della gestione del day-by-day. Non dimentichiamo che il mercato è sì globale, ma le specificità locali legislative, di gusto dei consumatori, di usi nel fare business esistono e vanno conosciute per costruire il successo in un determinato Paese”.