“Un’opera piccola per dimensioni ma enorme per il significato che racchiude”. Si è espressa così la presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani partecipando oggi a Trieste alla cerimonia di collocazione delle prime “pietre d’inciampo”, alla presenza dei vertici della Comunità ebraica, del sindaco della città e dell’artista ideatore delle Stolpersteine, Gunter Demnig.
Serracchiani ha ricordato la figura di Carlo Nathan Morpurgo, cui è dedicata la prima pietra d’inciampo, incastonata dinanzi alla Sinagoga Maggiore di Trieste: “non faremo mai abbastanza per coltivare la memoria di quest’uomo giusto. Egli fu un vero eroe: mentre intorno si scatenavano le forze del male e tutti tentavano di salvarsi, rimase al suo posto saldo come un cedro del Libano, per salvare gli altri. Anche nel momento più buio seppe nutrire la speranza nel ritorno di tempi migliori: aver sottratto i rotoli della Torah alla devastazione nazista è un atto di fede e di pietà, carico di una potenza simbolica che si spande oltre il recinto spirituale della Comunità ebraica e che ci tocca tutti”.
“Dalla Comunità ebraica di Trieste – ha continuato la presidente – ci viene l’esempio storico di un felice rapporto, di una pacifica commistione e di un reciproco arricchimento”. Gli esponenti di questa comunità “erano a loro agio in un orizzonte internazionale, non trascurarono la crescita e il benessere della città e dei suoi abitanti. L’edificazione di questa Sinagoga Maggiore nel cuore della città aveva rappresentato il culmine dell’integrazione nell’affermazione dell’identità”.
Serracchiani ha quondi commemorato “i mille triestini che furono strappati dalle loro case per essere portati ai Lager e che non fecero mai ritorno sono l’esito di un piano criminale studiato, deliberato e freddamente portato a termine”.
Per questo, ha sottolineato “quando noi oggi diciamo “mai più” dobbiamo renderci conto di quanto grande sia la responsabilità che pesa su quelle parole. Significa che ognuno di noi è chiamato a rispondere in prima persona, affinché il “no” al razzismo, all’intolleranza e alla violenza sia saldato alla volontà e alla determinazione di essere argine. Perché ci saranno sempre vittime, se permetteremo che ci siano carnefici, se non fermeremo sul nascere ogni pensiero che giustifica l’odio, che giudica l’uomo in base a ciò è, non a quello che fa”.
Serracchiani ha fatto anche riferimento all’attualità, esprimendo “condanna senza alibi per chi, occultandosi sotto il manto di un concerto, proprio in queste ore si prepara a celebrare l’Olocausto. Complici saremo, se lasceremo che teorie negazioniste o riduzioniste possano rendere minimamente “accettabile” l’orrore della Shoah. E ugualmente pericolosa è la distorsione ideologica che assimila l’ebraismo al sionismo, insinuando il sospetto di una doppia fedeltà, sovrapponendo indebitamente religione e politica”.
Chiarita la gravità del “tradimento delle leggi razziali”, la presidente si è augurata che la pietra d’inciampo possa essere “veramente un ostacolo alla distrazione, una diga alla superficiale omologazione che tutto assimila, un farmaco contro il tempo che consuma le generazioni e corrode la memoria”.
“Ogni nome di deportato che noi salviamo dall’oblio – ha spiegato – è una nuova vittoria contro la morte e contro chi volle cancellare i nomi, riducendo uomini, donne e bambini a un numero tatuato sul braccio, a un nulla”.
“La pietra di Carlo Morpurgo, e le altre che verranno posate oggi a Trieste, ci guardano e parlano a noi. E a noi, che ci sforziamo di essere gli eredi della memoria – ha concluso Serracchiani – rimane una sola parola: Shalom!”.
I luoghi dove sono state installate le pietre
Via San Francesco 19
Luogo di lavoro di Carlo Morpurgo (Trieste, 1890 – Auschwitz, 1944).
Piazza Giotti 1
Abitazione della famiglia Berger/Montanari: Eugenio detto Giacobbe Berger (Pecs, 1867 – Auschwitz, data ignota), la moglie, Adele nata Rumpler (Budisov, 1879 – Auschwitz, data ignota), il nipotino Alberto Montanari (Trieste, 1936 – Auschwitz, data ignota).
Piazza della Borsa 4
Abitazione della famiglia Marcheria: Ernesto (Trieste, 1898 – Auschwitz, 1944), la moglie Anna nata Nacson (Corfù, 1903 – Auschwitz, 1943), i figli Giacomo (Trieste, 1926 – liberato a Dachau), Raffaele (Trieste, 1927- Auschwitz data ignota), Ida (Trieste, 1929 – liberata a Ravensbrück) e Stella (Trieste, 1930 – liberata a Ravensbrück).
Piazza Cavana 3
Abitazione della famiglia Vivante: la madre Sarina nata Salonicchio (Corfù, 1891 – Bergen-Belsen, 1945) e i figli Giulia (Trieste, 1916 – Bergen-Belsen, 1945), Ester (Trieste, 1918 – Bergen-Belsen, 1945), Enrichetta (Trieste, 1921 – Bergen-Belsen, 1945), Moise (Trieste, 1925 – Bergen-Belsen, 1945) e Diamantina (Trieste, 1928 – liberata a Bergen-Belsen).