Sulla carta, è il candidato favorito, forte del 26% ottenuto in Fvg dalla Lega alle politiche del 4 marzo. Capogruppo uscente del Carroccio alla Camera, il triestino (ma nato a Verona) Massimiliano Fedriga, laureato in Scienze della Comunicazione e iscritto al partito dal 1995, nel 2008 arriva in Parlamento, dove viene riconfermato sia nel 2013, sia quest’anno. La sua candidatura alla presidenza della Regione Fvg per il centrodestra è uno dei primi effetti del sorpasso della Lega su Forza Italia.
Partiamo dalle relazioni interne alla coalizione. Le discussioni a livello nazionale con Fi possono avere riflessi sulla partita delle Regionali?
“Le discussioni a livello nazionale mirano a rafforzare l’unità del centrodestra. Ciò non può che fare bene anche alla coalizione qui in Friuli – Venezia Giulia”.
Salvini ha affermato che una vittoria ampia in Fvg darebbe uno scossone alle trattative per il governo nazionale…
“Una riconferma della voglia di cambiamento nella nostra regione aiuterebbe tutto il Paese. E’ un grande onore per la nostra terra”.
Patto e Pd sostengono che il suo sostegno da parte di Luca Zaia possa portare alla scomparsa del Fvg in una macroregione del Nord. Cosa risponde?
“Siamo al ridicolo e al paradossale. La Lega vuole valorizzare l’autonomia. E’ stato Renzi nel suo libro del 2012 ad affermare di voler eliminare le Regioni a Statuto speciale, il Pd ha la coscienza sporca e ha bisogno delle fake news per esistere. La grande battaglia sarà potenziare la nostra autonomia. E un buon rapporto con Veneto e Lombardia è un valore aggiunto per il Fvg, sia sul versante delle infrastrutture (un esempio è la terza corsia dell’A4) e sulla rinegoziazione per la collocazione degli immigrati. Naturalmente, ognuno deve mantenere la propria identità”.
A proposito di autonomia, come si può rafforzare quella della nostra Regione?
“Prima di tutto bisogna riconfermarla, dal momento che negli ultimi anni è stata svenduta, in particolare con il patto Serracchiani-Padoan, che ha sottratto 1.500 euro a residente all’anno. Poi si può pensare ad altre competenze: senza risorse non si può esercitare l’autonomia”.
Le altre forze in campo puntano alla regionalizzazione della scuola. Qual è la sua posizione su questo fronte?
“Sono contento che gli altri siano venuti sulle nostre posizioni. Noi lo dicevamo quando si discuteva del federalismo fiscale. Io, comunque, punto anche alla regionalizzazione della Soprintendenza alle belle arti, così che il territorio sia tutelato da chi lo conosce. In questi anni i beni architettonici sono stati poco tutelati e nel contempo sono stati messi i bastoni tra le ruote alle imprese. Colpa di una gestione troppo burocratica e poco efficiente. Dopo le cose cambieranno”.
Cinto Caomaggiore diversi anni fa ha chiesto l’entrata in Fvg con un referendum, come Sappada. Appoggerà una legge che sancisce il passaggio del Comune dal Fvg al Veneto?
“Nel caso di Sappada, i cittadini e i due consigli regionali erano unanimemente d’accordo sul passaggio. Se ci sarà la stessa unità d’intenti per Cinto Caomaggiore, saremo d’accordo con il passaggio”.
Il Pd regionale afferma che le sue proposte sulla sanità è in continuità con la riforma Telesca. Cosa replica?
“L’assessore Telesca e il Pd non si rendono conto di quanto accade in Fvg. I posti letto sono diminuiti drasticamente, tanto che in alcuni casi i pazienti sono stati sistemati fuori reparto. Ci sono persone nella Rsa di Monfalcone da oltre un anno perché non si sa dove metterle. Mancano i mezzi di soccorso, penso al caso di Gemona. I Pronto soccorso sono intasati. Con il numero unico per le emergenze si verificano ritardi negli interventi che rischiano di diventare drammatici. E’ ridicolo dire che la nostra idea di Sanità sia in continuità con tale situazione. Noi puntiamo, per esempio, sull’apertura delle strutture nelle ore serali per le visite specialistiche e per gli esami: ciò darebbe maggiori servizi ai cittadini e migliorerebbe le condizioni di lavoro del personale medico e infermieristico, sul quale va fatto un investimento. Inoltre, un maggiore uso delle attrezzature porterebbe a un’innovazione più rapida. Usare di più i macchinari costosi significa cambiarli più velocemente. A Monfalcone c’è un vecchio dispositivo per la mammografia, che espone il paziente alle radiazioni il 30% in più rispetto ai modelli nuovi. La stanno cambiando ora, ma con grande sforzo”.
Uti: come intende mettere mano alla riforma voluta dal centrosinistra?
“Innanzi tutto vanno tolte l’obbligatorietà dell’adesione e le penalizzazione per chi non ci vuole entrare. Questo può essere fatto in pochi giorni. Secondo passo, riformare il sistema assieme agli enti locali e al territorio, non deve essere una cosa calata dall’alto. La Regione deve coordinare, non imporre. Inoltre, le sedi istituzionali devono rappresentare, a differenza dello ‘spezzatino’ attuale, le identità dei territori. Infine, voglio ritornare al principio che i cittadini eleggono i propri rappresentanti e, se questi fanno male, li rimandano a casa con il voto. L’idea, insomma, è di puntare su enti di area vasta eletti direttamente e non di secondo livello”.
Lavoro ed economia. Qual è la vostra proposta per sostenere la ripresa?
“Primo, applicare una fiscalità di concorrenza, ovvero abbassare la pressione fiscale sulle imprese così da incentivare gli investimenti. La nostra è una bella terra, ma questo non basta per richiamare capitali. Secondo, dare vita a un piano straordinario di recupero dei beni pubblici e privati (ci sono troppi edifici non riqualificati che restano in stato di abbandono), limitando il consumo di suolo. L’abbassamento della pressione fiscale dà frutti nel medio e nel lungo periodo, mentre gli investimenti possono dare fiato all’economia nel breve. Così si rilancia l’economia della nostra regione”.
Personale degli enti locali. Con la scomparsa delle Province, la gran parte dei dipendenti è passata in Regione, lasciando sia le Uti, sia i Comuni a corto di personale. Come intendete agire su questo fronte?
“Ciò ha anche svilito le professionalità di chi prima lavorava nelle Province. Ora i dipendenti in Regione sono in soprannumero e non si sa cosa far fare ai nuovi arrivati. Senza contare che alcune nuove competenze non andavano attribuite alla Regione, penso per esempio agli sfalci dell’erba ai cigli delle strade. Dobbiamo ridare dignità a queste persone e usare le loro competenze al meglio, riportandole nei Comuni o nei nuovi enti di area vasta. Le professionalità non vanno né umiliate, né sprecate”.
Richiedenti asilo: quale modello propone per l’accoglienza?
“La nostra idea è di dare vita a centri dai quali i richiedenti asilo non possono uscire e girare sul territorio a piacimento. Queste persone vanno trattate con dignità e rispetto, ma non possono fare tutto quello che vogliono”.
Dove farebbe questi centri?
“Questa domanda mi è stata fatta anche da Debora Serracchiani. Io, a differenza sua, non sono dispensatore di soluzioni precostituite e non decido cosa fare solo accordandomi con le Prefetture. In questi anni, ci sono stati sindaci che si sono visti arrivare richiedenti asilo nel proprio Comune senza nemmeno essere stati avvisati. Individuerò i centri parlando con il territorio, non passando sulla testa dei cittadini”.
Le cose da fare nei primi 100 giorni in caso di vittoria?
“Primo, eliminare l’obbligatorietà d’adesione alle Uti e le penalizzazioni per chi non vuole entrarci. Secondo, cominciare la riorganizzazione della Sanità, cosa difficile da realizzare e per la quale ci vuole tempo. Terzo, iniziare la rinegoziazione del patto Serracchiani-Padoan. Spero che su quest’ultimo punto tutte le forze politiche si diano da fare”.