Cortomantagna, venerdì 15 dicembre al teatro comunale Candoni di Tolmezzo, presenta Mira di Lloyd Belcher, il film che racconta la storia di una ragazza nepalese, Mira Rai, che si è emancipata grazie allo sport e in particolare alla corsa di lunga distanza in alta montagna iventando campionessa di trail running. Nel 2017 Mira Rai è stata nominata Adventurer of the Year da National Geographic. Il film ha partecipato al Trento Film Festival 365 nel 2017 (27 aprile / 7 maggio 2017). La collaborazione tra National Geographic, Trento Film Festival 365 e Cortomontagna è nata grazie a Davide Brunetti, direttore marketing di National Geographic e a Cristian Sala, direttore marketing di Trento Film Festival 365. Leggimontagna prima e Cortomontagna poi da anni sono in contatto con Trento Film Festival per la mostra Millelibri e per i film di montagna.
Ritratto di Mira Rai
Cresciuta in un villaggio rurale del distretto di Bhojpur, tra le montagne del Nepal orientale, Mira Rai aveva dei sogni che andavano ben oltre le normali aspettative di una donna nepalese. “Da bambina mi dicevano continuamente di stare al mio posto, di non dire quello che pensavo e comportarmi in una certa maniera”, ha raccontato. “Potermi liberare da queste tradizioni era già un grande sogno per me”.
Prima di cinque figli, secondo la tradizione Mira aveva il compito di andare a prendere l’acqua, occuparsi dei campi e del bestiame, sbrigare le faccende di casa. A 12 anni aveva già smesso di frequentare regolarmente la scuola, e portava pesanti sacchi di riso da vendere al mercato su e giù per i sentieri ripidi, spesso a piedi nudi. Erano compiti faticosi, ma anche un allenamento straordinario per una futura trail runner.
Quando aveva 14 anni i ribelli maoisti arrivarono al suo villaggio, e Mira decise di unirsi a loro per poter guadagnare e cambiare vita. Due anni dopo tornò a casa: non aveva mai combattuto, ma addestrandosi con i ribelli era diventata bravissima nella corsa e nel karate. Certo non sapeva bene come sfruttare queste sue abilità: in Nepal lo sport professionistico non ha una tradizione radicata, tanto meno quello femminile.
Due anni fa, per caso, è finalmente arrivata la svolta. Mira stava correndo nei dintorni di Kathmandu quando è stata notata da due trail runner maschi, che l’hanno invitata a partecipare alla sua prima gara, la Kathmandu West Valley Rim, di 50 chilometri. Mira non aveva né l’attrezzatura né l’allenamento per correre su una distanza simile. Era anche l’unica donna in gara. Eppure, contro ogni previsione, è riuscita a battere tutti, compresi i due che l’avevano invitata. Era il percorso più lungo su cui avesse mai corso. Da quel momento è andata formandosi una comunità di sostenitori, che le ha dato la possibilità di gareggiare nelle competizioni internazionali di trail running.
Oggi Mira è diventata famosa nel mondo del trail running per la sua straordinaria abilità nelle corse ad alta quota. E si è data la missione di aiutare, attraverso lo sport, le donne e gli uomini del Nepal.
National Geographic ha rivolto qualche domanda a Mira Rai in occasione dell’assegnazione del premio Adventurer of the Year.
Qual è l’impresa più difficile: gareggiare su una ripida pista ad alta quota o sconfiggere gli stereotipi di genere?
La corsa non è un problema, battere gli stereotipi sì. Nella società in cui viviamo è complicato sia per gli uomini che per le donne, perché fare una qualsiasi cosa non convenzionale significa andare incontro a un sacco di difficoltà. Specialmente per le donne, dalle quali ci si aspetta un aiuto nelle faccende domestiche sin da piccole, e che poi si sposino e crescano una famiglia, il che diventa una lotta, non solo una sfida. [Se non lo fai] diranno che sei una ribelle, e se pratichi uno sport d’avventura che prevede dei rischi non ci sarà nessuno a incoraggiarti. Diranno che “finirai per romperti le ossa”. Anche se sembra che il modo di ragionare stia cambiando, succede molto lentamente e c’è ancora molta strada da fare affinché le donne nella società nepalese siano considerate uguali agli uomini. È questa la triste realtà.
Com’era la tua vita quotidiana nell’esercito maoista?
Quando mi sono arruolata ero felice di guadagnare 250 rupie [due dollari americani], che usavo per le necessità basilari come comprare uno spazzolino da denti, o del sapone. Poi è iniziato l’addestramento, che prevedeva corsa, ginnastica, combattimento corpo a corpo e uso delle armi con altre reclute della mia età. L’allenamento collettivo in previsione di una missione ha di certo contribuito anche alla mia crescita personale, perché mi ha resa più indipendente e sicura di me stessa.
Col favore del buio dovevamo marciare per molte ore di seguito per raggiungere altri accampamenti, ogni notte, e ci guardavamo le spalle gli uni con gli altri. Nemmeno ricordo i nomi dei luoghi che abbiamo dovuto attraversare, perché si trattava di giungle molto remote o di zone molto lontane dai villaggi. Ci hanno insegnato le tecniche di sopravvivenza e ho acquisito molte abilità che a casa non avrei potuto neanche immaginare. Ho fatto parte dell’esercito ribelle per due anni ed è stata una sfida, dal punto di vista dell’allenamento, ma anche un’esperienza gratificante per la crescita personale. Di certo ha accresciuto il mio spirito dell’avventura.
Che consigli daresti a chi vuole diventare un runner forte quanto te?
Sono stati il caso e la fortuna a far sì che diventassi una runner. Al villaggio dovevamo camminare per ore avanti e indietro su terreni molto difficili, spesso a piedi nudi e portando sulle spalle carichi pesanti. Questo di certo mi ha aiutato. Ho iniziato a correre, ho ricevuto un addestramento professionale dal quale ho appreso le tecniche e gradualmente sono diventata più determinata, motivata e ostinata nell’inseguire i miei sogni. Dieta adeguata e un regolare allenamento sono fondamentali; in ogni caso ho imparato che la fiducia in se stessi, il riposo, lo yoga e il benessere mentale – insieme all’ottimo sostegno del mio mentore Richard Bull e dell’allenatore Dhruba Bikram Malla – sono importanti quanto essere in forma.
Quando avevi 12 anni hai smesso di frequentare la scuola regolarmente. Vorresti aver ricevuto un’istruzione maggiore?
Penso che se avessi continuato a studiare sarei stata in grado di comunicare con più sicurezza e capirei meglio quello che succede nel mondo. Molte volte, quando avevo appena iniziato a fare gare all’estero, non ero neanche in grado di partecipare alla conversazione a causa del mio inglese scarso. Mi sedevo e ascoltavo ma non mi sentivo a disagio, perché tutti erano molto disponibili. Tuttavia, quando si trattava dei media o degli sponsor, aver studiato di più sarebbe stato certo più utile. Ancora oggi quando provo a leggere i giornali non capisco alcune parole. Sto prendendo lezioni di inglese e di certo mi sta aiutando a migliorare.
Correndo hai avuto la possibilità di vedere il mondo. Com’è stato tornare al tuo villaggio dopo essere stata a Hong Kong, in Italia e in altri paesi?
Torno una volta l’anno durante il Dashain, la festa più importante. Le persone vivono ancora in modo molto simile a quando ero una bambina. Al tempo usavamo lanterne a cherosene, oggi ci sono le lampadine a energia solare. Non c’era un accesso alle vie di comunicazione, oggi c’è qualche strada sterrata che permette di raggiungere città più grandi. Le case sono ancora fatte di fango. C’è il segnale per i telefoni, ma non funziona molto bene. Quanto torno indietro incontro molti giovani che mi chiedono come fare a cambiare vita. Sembrano decisamente motivati, ma purtroppo le loro famiglie non condividono le loro ambizioni. Se le infrastrutture del mio villaggio sono migliorate, la mentalità non è cambiata molto. Continuo a sperare che le generazioni future riescano a uscire dagli schemi.
A quali corse sogni di partecipare?
Ho sempre sognato di correre l’Ultra-Trail du Mont Blanc, 160 chilometri intorno al Monte Bianco. È un appuntamento per i runner più forti del mondo: mi piacerebbe vedere quello che riesco a fare.
Che cosa fai per dare agli altri le stesse occasioni che hai avuto?
Nel mio paese do consigli e incoraggiamento a uomini e donne che ritengo possano puntare a una carriera da atleti professionisti. Ogni tanto vado nelle scuole e a casa dei bambini per condividere quello che so sulla corsa, in particolar modo sull’allenamento, sulla dieta e, ancora più importante, sullo stile di vita attivo. A ottobre, mentre mi riprendevo da un intervento ai legamenti, ho organizzato una piccola gara nel mio villaggio città natale, Sano Dumma, per far conoscere lo sport ai più giovani e dar loro il modo di interessarsi e di farsi notare nel running. In futuro voglio organizzare altre gare per scoprire e promuovere i runner più promettenti. Sto anche facendo lobbying a favore del trail running presso il governo nepalese, affinché promuova le condizioni per diffondere questo sport e aiuti gli atleti a prepararsi per ottenere risultati sempre migliori nelle competizioni nazionali e internazionali.