Uno spettacolo teatrale/musicale per evocare quel lungo tratto di ‘passione’ vissuto dal popolo friulano, soprattutto nel primo anno dopo il terremoto del 1976. La pièce, promossa dall’Arcidiocesi di Udine e prodotta dal Css Teatro Stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia, debutterà sabato 3 settembre nel Duomo di Udine, con una dedica speciale ai terremotati del Centro Italia.
“Furtunâts i muarts sot tiere / che an finît la lôr stagjon / che an sierât i voi adôre / e no san cheste passion”. E’ stato il canto sillabato da una signora di Ospedaletto di Gemona la notte del 6 maggio 1976, la notte dell’Orcolat. Apparentemente disperato quel canto, ma anche no, se tenuto conto dell’animus friulano per cui l’accento non sta tanto nel disastro di vite e di macerie quanto, invece, sulla fatica del dover ricominciare da capo a vivere. Davide Maria Turoldo scrive in sua poesia: “Così cerca di prolungarsi il pianto nella notte, ma già il mattino sorge: mistero d’amore è la nostra parabola”.
Il riferimento comune va al 6 maggio, ma quella è stata soltanto la prima grande scossa distruttrice. Ne sono seguire molte altre, due particolarmente violente: quella dell’11 settembre e poi quella risolutiva del 15 settembre. Dopo un’estate di polvere, di tende, di pioggia e di vento, ma anche di grande solidarietà nazionale e internazionale e anche di assemblee popolari e di manifestazioni dei terremotati a favore di una ricostruzione-rinascita del Friuli a misura di popolo, il 15 settembre di 40 anni fa spazzò via ogni illusione di facile e svelta rinascita. Di più, il sisma di settembre, dati i ritardi sul baraccamento e l’inverno alle porte, costrinse i terremotati a vivere l’esperienza dell’esodo, un fatto lacerante e angoscioso per le comunità colpite dal terremoto.
“Un anno difficile, travagliatissimo per il Friuli quel 1976. Un anno sempre in bilico tra disperazione e speranza in cui le fondamenta cristiane del popolo friulano hanno giovato non poco a illuminare, dopo la notte, il mattino che sorge”, spiega monsignor Duilio Corgnali, coordinatore della Commissione diocesana per il 40esimo del terremoto. “La Chiesa friulana ha scritto in quel primo anno di terremoto una delle pagine più belle della sua storia bimillenaria. Abbiamo ritenuto di offrire ai friulani d’oggi l’opportunità di rivivere quei giorni con l’occhio posato sull’oggi, non tanto per ricordare, ma soprattutto per trarre linfa per affrontare i vari sismi che insidiano la vita di oggi. Perché ogni giorno che viviamo sia sempre un dì della speranza”.
“Era magnifica quella sera, calda e afosa, era di maggio, molte comunità erano raccolte in chiesa per il rosario…. poi la tremenda scossa. Migliaia i feriti e sepolti sotto le macerie. Mille i morti. Quarant’anni fa. Chi se ne ricorda? Chi ha ancora memoria di quella notte tremenda, chi di quel primo anno di dopo terremoto?”. La domanda posta da Duilio Corniali, con la forza di un testimone di quell’evento, porta con se’ un’altra domanda: che cosa, oggi, raccogliamo come eredità, dal vissuto profondo delle comunità friulane raccoltesi spontaneamente come vicinie, dai primissimi giorni, ad affrontare prima l’emergenza e poi la ricostruzione-rinascita?
Altre macerie popolano la vita di molti, oggi, nutrite di indifferenza, vuoto e insignificanza; ma se si è potuto vivere di speranza quarant’anni fa, perché non potremmo farlo anche oggi, sentendoci ancora e più che mai umanità in movimento che si rifiuta di cedere alla disperazione? Mettendo in dialogo artistico la cronaca testimoniale dell’evento del 6 maggio del ’76, i Salmi nella traduzione in lingua friulana e il testo poetico di Charles Péguy, in voci e immagini di evocazione, vorremmo suggerire che nei “fatti” del terremoto forse ci si può riscoprire nuovamente comunità di destino, con uno sguardo di speranza verso la ricostruzione morale che ci attende da tempo.