I cantautori sono tornati. O forse non sono mai andati via e hanno ancora tante cose da dire, anche in maniera personale e non allineata, come Matteo Bosco, in arte Teo Ho, tornato in Friuli dopo tanti anni a Milano (“ho fatto il busker: una bella palestra”). Entrato nel ‘giro’ del Circolo Acustico, ha subito inciso quell’album che non aveva mai pensato di fare prima: ‘I gatti di Lenin’, registrato da Matteo Dainese, che sarà presentato sabato 17 alla Libreria Tarantola di Udine alle 18.
Le 10 tracce rivelano una scrittura non convenzionale, spiazzante e surreale, ruvida ma affascinante, dall’iniziale Hamlin e fino alla strana conclusione di 9 per (“la vita interpretata dalle tabelline”), passando per la title track, Le fate nude (“il primo pezzo scritto nella mia vita”), 1986, La volpe e l’uva e un paio di richiami politici più espliciti (Mr Sands e Genova, berretto di lana).
Senza sovraincisioni, con la sua sola voce che accarezza o morde la chitarra (e occasionalmente l’armonica), Teo offre una ‘terza via’ al cantautorato del nuovo millennio. Lontano dagli integralismi dei nomi ‘classici’, ma anche dalla ricerca arguta (spesso fine a se stessa) delle ultime generazioni. “Dicono che sono fuori moda, ma non è vero: ho riferimenti anni ’70, ma seguo il cantautorato indie contemporaneo”.
Un mondo frastagliato, da cui non è ancora uscito un nome in grado di fare da traino a tutti e concedere anche a Teo Ho la fama che il suo talento meriterebbe. “Gli ascoltatori non sono innocenti e se mancano i grandi nomi è perché un tempo era imprescindibile la conoscenza di certi concetti artistici, ora deve arrivare il solito pacchetto di emozioni già confezionato: non è per tutti”.
Voce non allineata
Teo Ho, il friulano ‘emigrante’ Matteo Bosco, ha esordito con un album di cantautorato ‘fuori moda’ che è però al tempo stesso attualissimo, grazie a una scrittura originale
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