Dallo scorso ottobre, su iniziativa del Rettore dell’Università di Udine, Alberto Felice De Toni, Daniele Fedeli (nella foto) è delegato agli studenti. Unico ad avere questo ruolo all’interno di un ateneo italiano, Fedeli, ricercatore in Didattica e Pedagogia Speciale, è un grande conoscitore dei bisogni educativi dei bambini, anche con disabilità, e dei giovani in generale. Inoltre, molte delle sue ricerche studiano proprio i rapporti tra scuola/università e famiglia. Può sembrare strano, ma anche molti studenti, maggiorenni e vaccinati, sul punto di laurearsi, possono avere ansie, scarsa fiducia in se stessi, e troppe pressioni dall’esterno, pure dalla famiglia.
Nasce da qui la necessità di trovare, anche all’interno di un ateneo, una figura di sostegno?
“La mia delega nasce dalla volontà di dare maggiore attenzione agli studenti, non solo all’interno del percorso accademico, ma anche al loro percorso emotivo e relazionale generale. Per questo, ai servizi già esistenti all’interno dell’Area Servizi agli Studenti, si aggiungeranno a breve laboratori su vari temi”.
Quali per l’esattezza?
“Saranno attivati un laboratorio sul metodo di studio, uno sulla gestione dell’ansia, anche connesso alla preparazione degli esami, uno sulla comunicazione, non solo inerente alla discussione di esami e tesi, uno sulle risorse professionali, pensando quindi all’uscita, e uno sulla creatività”.
Insomma, lo studio non è al primo posto?
“Gli anni dell’università, dai 19 ai 24 in media, sono talvolta quelli della fragilità emotiva e relazionale, cui si unisce la formazione. L’ansia cresce e la famiglia, in molti casi, non aiuta”.
Ci può fare alcuni esempi?
“I ragazzi di oggi non sanno sempre organizzarsi e il passaggio dalle scuole superiori all’università può talvolta essere critico. Alle scuole superiori, spesso si aspettano che siano gli insegnanti a dare loro tempi e modi per studiare. Invece, dopo il diploma, bisogna fare da soli”.
Cosa si può fare per aiutarli?
“Non farli sentire abbandonati. Monitorare le situazioni di particolare difficoltà, riconoscere il disagio. Insomma, far capire che quello accademico può anche essere un mondo non depersonalizzato. Il mio ruolo sarà anche quello di essere un ulteriore riferimento. Avranno di fronte una persona in carne e ossa, con la quale interloquire e alla quale fare richieste e osservazioni”.
Nasce da qui anche l’idea dei nuovi laboratori?
“Assolutamente. Partiranno, presumibilmente in marzo, ma saranno presentati ufficialmente agli studenti a metà febbraio. Saranno anche uno strumento di incontro, un momento per guardarsi in faccia”.
L’aiuto non punta soltanto al successo negli studi?
“No. I laboratori arricchiranno sicuramente l’offerta formativa, ma serviranno anche dialogare con gli studenti. Ovviamente, non si tratterà di un incontro una tantum. Ci sarà continuità nel tempo. Le esperienze fatte in passato ci danno fiducia sul loro successo. Il numero delle richieste di partecipazione è stato sempre superiore al numero di posti disponibili”.