A dieci anni di distanza dall’ingresso della Slovenia nell’Unione europea, Gorizia, seduta sugli allori della zona franca prima e della retorica di confine poi, pare aver perso quel famoso treno dell’allargamento ad est di cui tanto si magnificava alla vigilia del 1° maggio 2004. Allora, come ricorda Vittorio Brancati (nella foto), che, in veste di primo cittadino di Gorizia (dal 2002 al 2007) ha traghettato la città verso lo storico traguardo, la “piccola Berlino” aveva tutti i riflettori puntati addosso.
“Eravamo diventati – rammenta Brancati – un punto di riferimento. Ora abbiamo perso questo ruolo”. Quello che resta è una città che lotta contro il suo declino, assistendo a volte impotente alla sua spoliazione progressiva, perché non ha avuto il tempismo di reinventarsi una vocazione, preferendo troppo a lungo vivere di memorie e di rendita a spese del confine. “I progetti di sviluppo per questa città come l’espansione del polo universitario e l’autoporto si fermano a 30 anni fa. Le ultime grandi scelte sono state fatte dal sindaco Scarano”, osserva l’ex sindaco.
In quella primavera del 2004, invece, la stampa mondiale andava in sollucchero per l’amarcord di confine: piccole storie di un’umanità che aveva cercato di superare, nella quotidianità, quella linea bianca che tanto dolorosamente aveva lacerato una terra, una città, famiglie, separando – spesso in modo surreale – cortili da case, apicoltori da alveari e innalzando filo spinato e ancora più pericolose barriere ideologiche e mentali che sono sopravvissute anche al tramonto della Cortina di ferro. Dopo il 1989, sono seguiti la smilitarizzazione della fascia confinaria e di conseguenza la chiusura delle caserme. Migliaia di militari – fonte sicura di reddito per un notevole indotto – sono svaniti, innescando il calo demografico di queste zone.
Con l’ingresso della Slovenia in Schengen, il 1° gennaio 2007, viene meno anche la zona franca. L’apertura delle frontiere diventa un boomerang per l’economia goriziana. La pressione fiscale e i costi per la manodopera inferiori consentono a svariate attività di praticare prezzi inferiori. Ogni giorno si varca il confine per fare il pieno ai distributori di carburante, per fare la spesa o pranzare nei centri commerciali sloveni spuntati come funghi, oppure si fa una puntata a Nova Gorica la sera per la movida notturna adatta a tutti i gusti, rave party, concerti e discoteche per gli universitari, night club, casinò…
I flussi di circolazione di merci e persone, dunque, si sono invertiti rispetto agli anni ’50 e ’60, quando il capoluogo isontino era preso d’assalto da comitive di clienti jugoslavi. Ricordi che sembrano appartenere ad un’altra era. Brancati, che dal 1956 al 1965 ha lavorato da Bergamasco, il negozio di articoli elettrici in via Rastello, quei tempi se li ricorda bene. “Davati alla ferramenta Krainer – l’ex primo cittadino di Gorizia lascia scorrere la memoria – c’era la fila di automobili jugoslave con il carretto dietro per acquistare mattoni e tondini di ferro. Davnti al mercato coperto di via Boccaccio venivano le donne di Nova Gorica vendevano la grappa e il burro e con i guadagni si compravano le calze di nylon e i jeans. Quando ritornavo a casa, la sera, non mi sentivo più le braccia, tante erano state le volte che avevo misurato i cavi elettrici per i clienti jugoslavi. Allora eravamo in piena fase di ricostruzione. A Nova Gorica ristrutturavano le case e rifacevano tutti gli impianti elettrici”.
Quando si oltrepassa il confine lo stacco visivo, ancor oggi, è netto: gli ampi vialoni alberati e i parallelepipedi di cemento dell’architettura socialista prendono il posto degli edifici liberty stretti l’uno a fianco all’altro della vecchia Gorizia mentre le luci al neon dei night club ammiccano ai potenziali clienti. Al valico di San Gabriele incontriamo Igor, 55 anni. È nato e cresciuto al civico 51 di Erjavceva Ulica, nell’edificio a fianco del posto di blocco. Nel suo giardino conserva ancora il cippo che delimitava il confine, all’interno della proprietà.
“Quando ero bambino – ricorda Igor – giocavo con i soldati: mi avevano insegnato a usare il fucile. Noi non avevamo paura degli italiani: erano loro ad aver paura di noi. Una corda segnava il confine fra Italia e Slovenia in mezzo al prato. Il mio vicino di casa aveva il giardino metà in Italia e metà in Slovenia. Per tagliare l’erba anche nell’altra metà si metteva la falce in spalla, prendeva la bicicletta e con la prepusnica in mano si presentava alla dogana. Poi entrava dall’altra parte nel cortile e completava il lavoro”. Alla caduta dei confini sono sopravvissute, però, le contrapposizioni ideologiche in parte della popolazione, vellicate, spesso, anche a fini elettorali. Resistenze – in Italia come in Slovenia – con le quali la classe politica ha dovuto pertanto fare i conti. Se ne ricorda bene Brancati che insieme ai suoi omologhi di Nova Gorica, Mirko Brulc, e di Sempeter Vrtojba, Dragan Valencic, ha inaugurato una nuova stagione di cooperazione transfrontaliera con la riunione itinerante delle tre giunte, quando lo strumento del Gect (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) ancora non era stato creato dall’Ue e c’erano mille difficoltà burocratiche soprattutto nell’accesso ai finanziamenti.
“La sera del 30 aprile 2004 – rievoca Brancati – l’allora premier Berlusconi inviò in sua rappresentanza alla cerimonia sul confine soltanto un sottosegretario, Roberto Antonione, mentre la Slovenia aveva schierato il primo ministro e per l’Ue c’era il presidente della Commissione europea Romano Prodi: non uscì nulla sulla stampa ma le autorità slovene non mi nascosero di averlo interpretato come uno sgarbo istituzionale. Alla festa non venne nemmeno un esponente dell’opposizione comunale di Gorizia. Girò, invece, un volantino di Alleanza nazionale che mi accusava di aver svenduto Gorizia alla Slovenia”.
Brancati sottolinea però che anche Brulc subiva in quel periodo pressioni analoghe, ma dall’estrema sinistra. Rigurgiti nostalgici che rischiarono di deflagrare con l’incidente di Tarnova, quando ignoti deturparono con scritte ingiuriose e svastiche il monumento ai caduti sloveni. Un incidente diplomatico che stava per mandare a monte il clima di collaborazione che si era instaurato fino a quel momento. “Allora rischiammo veramente grosso – rammenta Brancati – ma ebbi per fortuna una felice quanto fulminea intuizione. Non appena seppi dell’accaduto, telefonati subito a Brulc e gli dissi: veniamo noi a pulirlo. Andammo tutti – la mia giunta, io, l’allora presidente della Provincia di Gorizia Giorgio Brandolin – a cancellare le scritte. La spiacevole vicenda si chiuse così”.
Eppure, dopo il momento iniziale di euforia, tira oggi le somme l’ex sindaco, che già come segretario provinciale della Cisl aveva intrapreso un primo percorso di dialogo con gli omologhi jugoslavi, la cooperazione transfrontaliera ripiegò su se stessa. “Nel 2003, 2004, 2005 realizzammo diversi progetti – elenca – soprattutto riguardanti il turismo transfrontaliero. Poi, però, vennero le prime delusioni, come la risonanza magnetica transfrontaliera. Avrebbe dovuto essere acquistata in modo congiunto. Ma il progetto non decollò, un po’ per colpa nostra, un po’ per colpa della Slovenia. Se c’è la volontà, però, si supera tutto. Se la volontà non c’è, ogni ostacolo diventa una montagna. Avremmo anche voluto realizzare un’ippovia e una pista ciclabile, ma sarebbero serviti corposi investimenti e anche lì trovammo difficoltà”.
Il ricordo più bello del confine che non c’è più, per l’ex sindaco di Gorizia, risale non già alla cerimonia istituzionale del 30 aprile 2004, ma al 22 febbraio 2004, quando fu a abbattuta la rete in piazza Transalpina. Non era un’iniziativa organizzata, ma piuttosto un passaggio burocratico che anticipava i grandiosi festeggiamenti nazionali che sarebbero andati in scena due mesi dopo. Si trasformò, invece, in una festa di piazza. “Ci siamo ritrovati, Brulc e io – racconta l’ex primo cittadino – di fronte a una folla di 300 persone: gente che si abbracciava, brindava, piangeva e mi ringraziava, anziani che avevano vissuto il dramma della guerra e delle divisioni, giovani che invece guardavano alla caduta dei muri da un’altra prospettiva, orientata al futuro Per me è stato il momento più emozionante, proprio perché non era stato organizzato: una festa di popolo. La gente aveva capito che il nostro, quello mio e di Brulc, non era solo un progetto di sviluppo economico, ma che c’era la volontà di superare gli odi e le contrapposizioni che per troppo tempo avevano diviso queste terre”.
Per il ritratto di fine mandato – che campeggia al piano nobile del palazzo municipale di Gorizia – Brancati ha voluto come sfondo proprio quella piazza emblematica. A imperitura memoria di quel 1° maggio rimangono, davanti alla stazione Transaplina, il mosaico, le targhe commemorative e le suggestive fotografie di Leo Caharija e Pierluigi Bumbaca che, applicate su quattro cilindri di metallo, immortalano la storia di questi luoghi, prima e dopo la caduta dei confini. Due residenti della zona, sedute su una panchina, commentano: “Una volta qui venivano tante corriere di turisti a vedere la piazza, ora sono anni che non ne vediamo più. Questo luogo, di importanza storica per la nostra città, è poco valorizzato: sembra quasi dimenticato”.
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