La varietà americana della Panax quinquefolius (comunemente detta ginseng americano, con proprietà differenti rispetto alla più famosa e diffusa pianta asiatica che, crescendo su terreni di coltura diversi, acquista altre caratteristiche) sembra combattere in modo significativo la stanchezza in diverse circostanze ma mancava però uno studio su base scientifica per valutarne l’efficacia nei pazienti oncologici, una delle conseguenze più comuni e debilitanti della malattia e, in particolare, durante i cicli di chemioterapia.
Lo ha eseguito la professoressa Debra Barton della Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota, che interverrà al XV congresso nazionale dell’AIOM a Milano l’11 ottobre con uno speech dedicato ad illustrare appunto gli esiti del suo studio recentemente pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute sugli effetti positivi del Wisconsin Ginseng per combattere la fatica/stanchezza correlata al cancro e c’è un unico prodotto sul mercato italiano con queste caratteristiche. Lo studio della Barton, effettuato in collaborazione con il North Central Cancer Treatment Group e la Mayo Clinic, è uno studio di fase III, multicentrico, randomizzato, condotto in doppio cieco vs placebo, su di una popolazione di 364 pazienti oncologici, provenienti da 40 Centri. Lo studio prevedeva, dopo la valutazione clinica di base del campione, la sua suddivisione in due gruppi di studio, da avviare alla somministrazione di 2000 mg giornalieri di Ginseng Americano vs placebo per un periodo 8 settimane.
La valutazione clinica è stata effettuata al tempo zero (T0), dopo 4 settimane (T1) e dopo 8 settimane (T2). I criteri di valutazione del profilo di efficacia sicurezza sono stati eminentemente clinici. End-point primario era la variazione a 4 e a 8 settimane del punteggio della Multidimensional Fatigue Symptom Inventory short-form (MSFI-SF). Il profilo di sicurezza è stato valutato attraverso l’automonitoraggio degli eventi avversi riferiti dai pazienti. I risultati dello studio, evidenziati in T1 e T2 appaiono molto incoraggianti, con un miglioramento statisticamente significativo del punteggio della MSFI-SF nel gruppo trattato con ginseng vs placebo. Di particolare interesse è l’osservazione di un maggior beneficio percepito dai pazienti che erano in trattamento antineoplastico (chemio o radioterapico) durante lo studio, rispetto a coloro che lo avevano già sospeso. Gli effetti collaterali descritti dai pazienti sono stati numericamente scarsi e clinicamente non significativi, in ogni caso senza differenze significative fra i due gruppi.
Dati significativi si ottengono dopo 2 mesi di terapia. I pazienti in trattamento radio /o chemio hanno ottenuto il maggior beneficio. Ciò indica la potenzialità preventiva del ginseng. Lo studio ha evidenziato che nel paziente oncologico la fatigue può determinare una pesante compromissione della qualità della vita in una percentuale di casi che oscilla fra il 59 ed il 96% dei pazienti sottoposti a chemioterapia e fra il 65 ed il 100% nei radiotrattati, a seconda dei diversi studi considerati. La fatica cronica può persistere da 5 a 10 anni dopo la diagnosi e il trattamento e interferisce profondamente e negativamente sulla QofL e incidendo per oltre il 40% sulle varianti che la compongono.
Ad oggi non esistono altri studi che evidenzino l’efficacia di interventi farmacologici: Psicostimolanti (modanafil, denezepil, paroxetine), Integratori (CQ10,L-Carnitie e guarana). “Il ginseng americano (che in Italia è presente in farmacia euquinax) ha avuto un effetto più significativo tra i pazienti che stavano facendo in quel momento la terapia antitumorale – sottolinea Debra Barton – il chè è stato un po’ sorprendente ma non del tutto. Il risultato, infatti, è coerente con la modalità tramite la quale si pensa che il ginseng possa aiutare: diminuendo, cioè, i segnali infiammatori e regolando meglio la secrezione di cortisolo, l’ormone dello stress che è stato associato con l’affaticamento ed è certamente associato alle terapie antitumorali.
Nessun farmaco ha mai dimostrato prima in modo coerente di essere efficace per alleviare l’affaticamento legato al cancro”. Secondo il prof. Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’istituto tumori di Aviano e studioso dei problemi inerenti alla fatica sia nel cancro, sia al di fuori, in particolare nella sindrome da fatica cronica, “lo studio è molto importante ed agisce in un settore, quello della cancer related fatigue, fino ad oggi poco approfondito in oncologia ma che invece è un problema molto comune e altamente invalidante nei pazienti oncologici sia durante la terapia ma soprattutto a lungo termine. Anche nella mia esperienza personale – aggiunge Tirelli – ho già trattato con l’euquinax 35 pazienti affetti da cfs, una patologia abbastanza simile alla cancer related fatigue con la differenza che nella prima la fatica subentra dopo un fatto infettivo mentre nella seconda dopo una terapia oncologica medica o radioterapica con risultati molto simili a quelli della dott.ssa Barton. Il suo studio è quindi molto importante sia per la gestione della fatica del cancro che della sindrome da fatica cronica, in quanto si è dimostrato efficace sia nella esperienza della Barton, che in quella di Aviano”.