All’Assemblea dei Sindaci per l’approvazione del Pal, piano di azione locale 2018, dell’Azienda Sanitaria 2, la prima slide presentata dal direttore generale Antonio Poggiana ha portato i presenti a strabuzzare gli occhi. Si affermava che a tre anni dall’avvio della riforma continuano a registrarsi “fuga dei residenti verso altre strutture regionali, calo della fiducia dei cittadini, effetti negativi su bilancio aziendale, peggioramento del clima interno, incertezza sul destino delle strutture in cui i dipendenti lavorano, mission non chiare”. In sostanza il riconoscimento di quanto denunciato più volte dal sindaco di Monfalcone, Anna Cisint che ieri ha puntato il dito, ancora una volta, contro la grave situazione di depauperamento in cui il personale sanitario si trova ad operare all’ospedale di San Polo. “Voterò contro questo documento che, oltre ad arrivare in ritardo sui tempi previsti, non ha contenuti, non affronta i problemi, non dà i tempi di intervento. Una progettualità che non prevede strategie né tempi di azione e non rende possibile monitorare gli obiettivi è solo una chiacchiera vuota” ha detto con forza Cisint, che stamattina ha incontrato Poggiana per ribadire le richieste già illustrate in un documento consegnato a gennaio e a cui non ha avuto ancora risposte. “Lo metto all’angolo e pretendo di avere queste risposte. Anche perché il personale sanitario, che ha professionalità e qualità, sta operando in condizioni di assoluta frustrazione”. Tra i problemi che chiedono soluzioni la situazione del Pronto soccorso, che pur nelle difficoltà, riesce a fornire una risposta a un’area vasta che va dalla provincia di Trieste alla Bassa friulana, a Grado, ma anche le difficoltà dell’ortopedia: “mi è stato segnalato il caso di un 60enne che si è fratturato il femore sabato e che mercoledì non era stato ancora operato”. Non solo, anche la riorganizzazione e potenziamento dell’attività del blocco chirurgico, ma anche la dotazione di risorse adeguare alla Rianimazione e di due medici alla Cardiologia, garantendo così il mantenimento dell’Unità di terapia intensiva coronarica “che deve restare a Monfalcone“. “Bisogna fornire risposte adeguate, anche di spazi, alla Pneumologia, visto il peso che le malattie asbesto-correlate hanno nel nostro territorio e dare contenuti veri al Crua”, ha aggiunto il sindaco, indicando tra le priorità anche l’individuazione del responsabile dell’Oncologia, la valorizzazione della Diabetologia, anche rispetto ai risultati ottenuti sul trattamento del piede diabetico, il potenziamento delle cure palliative, l’accelerazione dell’acquisto e installazione della nuova Risonanza magnetica. Senza scordare un adeguato organico e 10 posti letto in più per la Rsa “perché non è possibile che si risolvano le acuzie e poi manchi un percorso di riabilitazione”. Tra i 12 punti del documento consegnato a Poggiana anche il mantenimento al San Polo dell’endoscopia digestiva e la richiesta di una rapida acquisizione e messa in funzione della Risonanza magnetica “per cui ci sono i fondi, ma che aspettiamo da un anno”. In merito il direttore generale, già a gennaio aveva spiegato che l’Azienda sta valutando le varie opzioni sulla collocazione del macchinario, visto il peso e l’esigenza di un percorso agevole per i pazienti e che la gara Consip con tutta probabilità avrà luogo dopo la fine dell’estate. Quindi l’installazione è prevedibile nella prima parte del 2019.
“Lo stato di agitazione del personale medico che garantiva, fino ad oggi, l’attività ambulatoriale volontaria – è da segnalare che il contratto collettivo nazionale contempla solamente il servizio telefonico e l’intervento domiciliare – della cosiddetta ‘guardia medica’ nell’Azienda Sanitaria ASS2, dovrebbe far riflettere sugli esiti di una riforma sanitaria che avrebbe dovuto e potuto, quantomeno, assicurare un collegamento sicuro e certo tra la struttura ospedaliera e il territorio”. A prendere posizione, in quanto la faccenda riguarda l’intero territorio, è il capogruppo di San Pier Futura e Democratica, Pier Ugo Candido. “Come, spesso, ribadito la territorializzazione, ossia il continuum tra l’attività d’ospedale, ricevuta dal degente (fin troppo paziente), e la dislocazione dei servizi nei territori, da assicurare a domicilio, sconterebbe, forse, troppe falle di sistema. Sistema che, sulla carta, dovrebbe consolidare, estendere e concretizzare i diritti sociali attraverso il riassetto dei servizi territoriali con particolare centralità all’integrazione, intesa prevalentemente come inserimento nei territori, secondo una prospettiva che coniugherebbe la spinta a superare la compartimentazione fra istituzioni e servizi con l’intenzione di creare le condizioni perché i cittadini e le comunità locali assumano una posizione attiva. L’integrazione operativa verrebbe supportata a livello gestionale con alcuni dispositivi che corresponsabilizzano, anche sotto il profilo finanziario e su programmi comuni, altri settori dell’amministrazione pubblica (in particolare i Comuni) e le organizzazioni del terzo settore”.
“L’obiettivo” prosegue Candido, “sarebbe accrescere, nei territori, la densità e varietà del tessuto organizzativo che supporta le persone nelle loro capacità di scelta, azione e bisogno. All’atto pratico – quello che si tocca con mano nel vissuto quotidiano – non sarebbe proprio così! Lo specchio di questo status, non solo apparente, sarebbe all’attualità, appunto, l’impasse operativo del servizio di continuità assistenziale: servizio chiave per l’utenza (e filtro per il pronto soccorso, che altrimenti ‘scoppierebbe’) e che garantisce una media di “mila” accessi annui e un centinaio al giorno. In questa circostanza di ‘non servizio’, uno frastornato cittadino si vedrebbe costretto ad affluire al pronto soccorso, intasandolo, che quindi non riuscirebbe a smaltire, con la consueta efficienza, il surplus di cura richiesto. Il disservizio, alla fine, però si ripercuoterebbe sulla cittadinanza, bisognosa di assistenza. E questo è un caso. L’altro, forse più eclatante su un vasto piano sociale, sarebbe quello in cui la struttura e territorio deficiterebbe di una fattiva connessione esecutiva: il cittadino, qui, sarebbe spesso costretto, ahinoi, ad ospedalizzare la propria abitazione surrogando attività sanitarie e di assistenza pubblica che, a dimissione avvenuta e per le patologie che lo richiedano, dovrebbero essere operative di default. La soluzione? Il “fai da te” o il ricorso, a proprie spese, al ‘privato’. Non ci pare che questa sia la territorializzaione auspicata sulla carta che dovrebbe intrecciare ‘cura dei luoghi’ e ‘cura delle persone’ per il totale supporto ai cittadini nelle loro comunità”.