Più appoggio, dialogo e confronto con medici, strutture e istituzioni che si occupano del problema, indicazioni chiare sulle azioni da intraprendere. Sembrano essere queste le richieste che presentano all’unisono le associazioni che aiutano e sostengono i malati di Alzheimer e le loro famiglie nel nostro territorio.
“Dopo la diagnosi pazienti e famigliari sono smarriti, spaventati, preoccupati. Di fronte a loro si prospetta una malattia lunga, faticosa, dolorosa e per la quale non esiste cura – commenta Giovanna Pacco, direttrice della Associazione de Banfield di Trieste -. È fondamentale, quindi, il supporto: la malattia va spiegata. In questo senso molti nostri associati (ne abbiamo 600, ma non tutti per l’Alzheimer) si sentono abbandonati dai medici di medicina generale e persino dagli specialisti. Ci raccontano che non ottengono risposte dai professionisti. Cercano rassicurazioni, una guida sicura, soluzioni ai problemi quotidiani, sempre diversi, che si presentano. Invece spesso non trovano nulla.
Per esempio, quando un malato di Alzheimer va al pronto soccorso, è impensabile che possa aspettare molte ore per essere visitato. Si creano delle situazioni che possono diventare difficilissime da gestire nei reparti di emergenza. Eppure medici e infermieri a volte non sono preparati in questo senso. Anche ricorrere ai servizi sociali o sbrigare le pratiche burocratiche non è semplice per i familiari. Riteniamo necessaria una legge per il riconoscimento e la tutela dei caregiver, cioè delle persone che si prendono cura dei malati, parenti o badanti che siano.
Servirebbe a dare un ordine al percorso di cura che può durare anche molti anni, a formare adeguatamente gli operatori, a creare strutture di sostegno per le famiglie. In altre regioni esiste già, ma il Fvg non ha nemmeno adottato il piano nazionale sulle demenze”.
Volontari in prima linea
In molti casi sono proprio le associazioni che si fanno carico delle informazioni sull’evoluzione della patologia e sugli adempimenti burocratici che si rendono via via necessari. Ci sono anche i volontari che aiutano concretamente le famiglie nell’assistenza o nel trasporto dei malati. In Fvg non esistono strutture specializzate nell’assistenza di questi pazienti e anche i posti letto sono insufficienti.
“Effettivamente non esiste una risposta istituzionale univoca né percorsi assistenziali al di là dell’aspetto medico – specifica Iacopo Cancelli, neurologo dell’ospedale di Udine -. E neppure si può pensare che i medici forniscano risposte su tutto. Così subentrano le associazioni di volontari. La situazione però non è statica: i medici che stanno frequentando il Ceformed, la scuola di formazione per la medicina generale, seguono anche lezioni per essere preparati a confrontarsi coi pazienti Alzheimer e i loro familiari. Io vorrei che si puntasse l’attenzione anche sull’universo delle badanti: servirebbero corsi di formazione specifici per queste figure in modo che possano far fronte a tutte le necessità dei malati e non solo far loro compagnia”.
Qualche esempio virtuoso c’è: l’associazione Alzheimer Latisana collabora già da tempo con l’Aas 2 per creare una rete di supporto alle famiglie.
“Alla fine di ogni anno sottoponiamo un questionario ai malati e ai parenti per comprenderne le necessità e per cercare di aiutarli – spiega Ausilia Zuppichin, presidente dell’associazione -. Quello che emerge è la necessità di un maggior confronto con i sanitari e di un grande sostegno psicologico”.
Più appoggio, dialogo e confronto con medici, strutture e istituzioni che si occupano del problema, indicazioni chiare sulle azioni da intraprendere. Sembrano essere queste le richieste che presentano all’unisono le associazioni che aiutano e sostengono i malati di Alzheimer e le loro famiglie nel nostro territorio.
“Dopo la diagnosi pazienti e famigliari sono smarriti, spaventati, preoccupati. Di fronte a loro si prospetta una malattia lunga, faticosa, dolorosa e per la quale non esiste cura – commenta Giovanna Pacco, direttrice della Associazione de Banfield di Trieste -. È fondamentale, quindi, il supporto: la malattia va spiegata. In questo senso molti nostri associati (ne abbiamo 600, ma non tutti per l’Alzheimer) si sentono abbandonati dai medici di medicina generale e persino dagli specialisti. Ci raccontano che non ottengono risposte dai professionisti. Cercano rassicurazioni, una guida sicura, soluzioni ai problemi quotidiani, sempre diversi, che si presentano. Invece spesso non trovano nulla.
Per esempio, quando un malato di Alzheimer va al pronto soccorso, è impensabile che possa aspettare molte ore per essere visitato. Si creano delle situazioni che possono diventare difficilissime da gestire nei reparti di emergenza. Eppure medici e infermieri a volte non sono preparati in questo senso. Anche ricorrere ai servizi sociali o sbrigare le pratiche burocratiche non è semplice per i familiari. Riteniamo necessaria una legge per il riconoscimento e la tutela dei caregiver, cioè delle persone che si prendono cura dei malati, parenti o badanti che siano.
Servirebbe a dare un ordine al percorso di cura che può durare anche molti anni, a formare adeguatamente gli operatori, a creare strutture di sostegno per le famiglie. In altre regioni esiste già, ma il Fvg non ha nemmeno adottato il piano nazionale sulle demenze”.
volontari in prima linea
In molti casi sono proprio le associazioni che si fanno carico delle informazioni sull’evoluzione della patologia e sugli adempimenti burocratici che si rendono via via necessari. Ci sono anche i volontari che aiutano concretamente le famiglie nell’assistenza o nel trasporto dei malati. In Fvg non esistono strutture specializzate nell’assistenza di questi pazienti e anche i posti letto sono insufficienti.
“Effettivamente non esiste una risposta istituzionale univoca né percorsi assistenziali al di là dell’aspetto medico – specifica Iacopo Cancelli, neurologo dell’ospedale di Udine -. E neppure si può pensare che i medici forniscano risposte su tutto. Così subentrano le associazioni di volontari. La situazione però non è statica: i medici che stanno frequentando il Ceformed, la scuola di formazione per la medicina generale, seguono anche lezioni per essere preparati a confrontarsi coi pazienti Alzheimer e i loro familiari. Io vorrei che si puntasse l’attenzione anche sull’universo delle badanti: servirebbero corsi di formazione specifici per queste figure in modo che possano far fronte a tutte le necessità dei malati e non solo far loro compagnia”
Qualche esempio virtuoso c’è: l’associazione Alzheimer Latisana collabora già da tempo con l’Aas 2 per creare una rete di supporto alle famiglie.
“Alla fine di ogni anno sottoponiamo un questionario ai malati e ai parenti per comprenderne le necessità e per cercare di aiutarli – spiega Ausilia Zuppichin, presidente dell’associazione -. Quello che emerge è la necessità di un maggior confronto con i sanitari e di un grande sostegno psicologico”.