Camminando per Taipei ci si accorge di una presenza architettonica che dà conforto; una specie di punto cardinale che fa da guida con i suoi cinquecentonove metri di altezza. E’ il grattacielo Taipei 101.
Quando ci si avvicina a questo colosso dell’architettura postmoderna, si nota l’eleganza della struttura. Pur svettando in maniera clamorosa in un panorama urbano che non presenta molti giganti di vetro e cemento, lo fa con leggerezza, delicatezza quasi con modestia. Si erge sul tessuto urbano con una precisione tale da far pensare che sia lì da millenni come i colli e i monti che compaiono nelle vicinanze.
Le cromie verdognole dei vetri splendono colpiti dai raggi del sole che domina incontrastato in un cielo azzurro. Il simbolismo che il grattacielo ha appiccicato, trasforma il semplice osservare un edificio di fama mondiale, in un compendio di cultura locale.
Quel gioiello verticale ha come prima ispirazione la pianta di bamboo, popolare in tutta l’isola nonché elemento che viene associato all’apprendimento e alla crescita nella cultura cinese. Otto segmenti che paiono incastonati l’uno sull’altro, ciascuno costituito da otto piani, sbocciano da una base che contiene i primi livelli dell’edificio. Tutti quegli otto non sono casuali, ma un richiamo al numero fortunato 8, sinonimo di buoni auspici, abbondanza, prosperità. L’occhio, ammaliato dalla simmetria e dal ritmo verticale che quegli otto blocchi regalano, si imbatte negli enormi dischi, rappresentanti delle monete, disposti su ciascun lato dell’edificio.
A completare i dettagli esterni, si trovano gli enormi ‘ruyi’, talismani di origine antichissima qui presentati in chiave moderna, che simboleggiano protezione e compimento.
Se in Occidente questi colossi richiamano l’attenzione dello spettatore, in Asia quelle altezze verticali assumono il valore di anticipazione delle cose che verranno: “scaliamo per vedere oltre”.
E allora il punto di osservazione situato al piano numero ottantanove a 383 metri di altezza, diventa il luogo dove mettere in pratica questa massima.
Sparati verso l’alto grazie a un ascensore che batte tutti i record di velocità, ci si ritrova in uno spazio che offre una visuale irreale. Il tentativo di catturare la bellezza con una macchina fotografica pare vano.
La massa urbana da quassù rimpicciolisce, si ha la sensazione di dominare l’intera città.
I blocchi di cemento e vetro diventano elementi lillipuziani, gli stradoni sembrano vene d’asfalto pulsanti e si individuano con estrema facilità i corsi d’acqua scintillanti provenienti da sud e da est che si fanno largo tra il tessuto urbano.
Si gira l’intero piano pervasi dallo stupore che non risparmia nessuno. C’è chi cerca la foto perfetta e chi invece cerca di riconoscere i luoghi di interesse che ha visitato qualche giorno prima. Tutti hanno in comune un entusiasmo radioso.
Voltando lo sguardo verso occidente i vialoni trafiggono la città fino a perdersi in una leggera velatura di smog che copre come un lenzuolo l’orizzonte e il potente vicino cinese. Gli altri tre punti cardinali sono privi del pulviscolo che le zone a più alta densità industriale sprigionano nell’aria.
A Nord sono i profili montuosi che si innalzano come un’onda a dominare la scena, a oriente e a sud le chiazze verdi di colli boscosi spuntano come bottoni. A meridione già si notano le propaggini di monti che corrono fino all’altro lato dell’isola di Taiwan.
Con il calare delle tenebre i monti prendono vita con piccoli abitati fatti di bagliori tremolanti. E la notte regala un ambiente completamente diverso, quasi metafisico. Ai piedi di questo gioiello i vari isolati paiono pezzi di un puzzle dalle tinte scure, i bordi di questi ‘pezzi’ sono gli aloni luminosi delle strade brulicanti di auto ammutolite dall’altezza e dalla gabbia di vetro da cui si osserva.
Un edificio in grado di rappresentare l’intera nazione: forza, ambizione, stile, ospitalità condensate in una carezza architettonica indimenticabile.