Per l’Europa, il caso diossina di Maniago dipende dalla scarsa pulizia dei luoghi in cui vengono allevati i polli ruspanti e non dalla contaminazione della vicina zona industriale. E’ giallo dopo la risposta ricevuta da Bruxelles dal consigliere comunale di Vajont, Fabiano Filippin.
Qualche settimana fa l’ex assessore aveva segnalato alla commissione petizioni dell’Europarlamento la vicenda dei campioni alla diossina riscontrati a partire dal 2015 a Campagna e Dandolo. Nella denuncia di Filippin si evidenzia come siano attualmente in fase di svolgimento delle analisi più approfondite: eppure alcuni mesi fa, in una precedente carteggio, Bruxelles non dava atto di nulla di tutto ciò. L’altro ieri la svolta, anzi, la doppia svolta: lo stesso giorno l’esponente di Vajont ha, infatti, ricevuto due lettere dalla capitale belga, l’una in contraddizione all’altra.
Nella prima, pervenuta in forma cartacea, il professionista viene avvisato che la sua iniziativa è in lavorazione. Nella seconda missiva, inoltrata questa volta via mail, si afferma, invece, che non sarà riaperto alcun dibattito. Tutto “merito” di un secondo parere ottenuto dalla direzione alla salute e alla tutela degli alimenti della Commissione europea. E’ a questo punto che scatteranno sicuramente polemiche e ulteriori prese di posizione.
“Il governo comunitario ha dichiarato, nero su bianco, che gli unici due campioni risultati fuori norma non dipendevano dalle emissioni della zona industriale di Maniago ma dalla scarsa pulizia dei cortili”, ha detto Filippin, pronto ad altre azioni di replica. “Salvo non far capire a quali analisi si riferiscano tali ‘certezze’, ovvero se a quelle dell’Asl del novembre 2015, a quelle private disposte da Tullio Tramontina nel 2011 e dal Movimento 5 Stelle poche settimane fa o ancora alle ulteriori che sono in corso proprio in queste ore a Campagna. Del resto sintetizzare una questione che va avanti da almeno trenta anni in due righe mi pare poco serio”.
Sul piano giuridico, il professionista contesta anche le ulteriori considerazioni della Ue. Secondo la Commissione, spetterebbe, infatti, al privato dimostrare l’esistenza di un vasto fenomeno di inquinamento o l’infondatezza delle informazioni girate agli uffici comunitari dall’Italia. “In diritto si chiamerebbe inversione dell’onore della prova e non sarebbe ammesso dal giudice – ha concluso il rappresentante di Vajont -. Ci siamo rivolti agli organi europei perché dispongono dei mezzi e dell’autorità per appurare i tanti indizi a nostra disposizione. Se si ribalta sul cittadino un tale impegno, forse è il caso di lasciar perdere la partita. Non ci sono state consegnate nemmeno le rassicuranti relazioni provenienti dall’Italia, violando così il principio di trasparenza. Forse perché abbiamo minacciato denunce per falso se i report nazionali dovessero risultare non conformi?”.