Rappresenta l’ultima generazione di una stirpe imprenditoriale friulana, prima artigianale e oggi industriale, attiva fin dal 1359. Una realtà, che con sua padre Redento, è cresciuta negli ultimi trent’anni calcando le leve della qualità di prodotto e dell’internazionalizzazione, ma dandole in mano a una squadra in cui affiatamento, impegno e professionalità sono aspetti strategici. Perché l’acciaio lo fanno le persone. Indira Fabbro, classe ’78, è inserita nella gestione familiare della Pelfa Group, industria di Buja del settore metalmeccanico, specializzata in carpenteria e impiantistica, con un export al 95 per cento, tra Europa, Nord America e Russia, e circa 150 collaboratori. Nel suo passato anche una parentesi politico-amministrativa, quale assessore regionale per appena 50 giorni, durante l’ultimo scorcio della giunta Tondo. Imprenditrice, quindi, e anche madre, di tre figli tra 5 e 9 nove anni.
Per cosa si caratterizza il modello aziendale creato da sua padre Redento?
“È una realtà nata come terzista a conduzione familiare, ma che nel giro di pochi anni si è sviluppata investendo in nuovi macchinari unici nel loro genere in tutto il Nordest, investendo nel capitale umano con tecnici esperti che studiano e valutano al meglio le richieste di ogni cliente e lavorazione specifiche per ogni singola commessa. Fondamentale è il rapporto con il cliente con il quale si instaurano collaborazioni e scambio di mentalità e tecnologie che fanno crescere la competitività e la qualità di entrambe.
Un’altra caratteristica è aver saputo creare una rete aziendale con partner esteri ancor prima del 2008, una visione a lungo termine strategica che ha dato i suoi frutti e che ha portato l’azienda da un livello prettamente nazionale a uno internazionale, potendo così lavorare in modo costante anche in questi anni di crisi. Infine, l’azienda ha saputo rinnovarsi creando un nuovo settore, quello idroelettrico, che negli ultimi sei anni ha dato molte soddisfazioni con la costruzioni di turbine complete o di sue parti e il riconoscimento da parte della Regione per un progetto di innovazione per una nuova turbina per piccoli corsi studiata assieme all’Università di Udine.
Credo nella collaborazione tra aziende, anche di dimensioni diverse, ma complementari, creando un team di persone proattive e con mentalità di continuo miglioramento così come di controllo del processo a tutti i livelli. La nostra, in fin dei conti, è un’azienda in continuo divenire che non si è mai fermata nella ricerca e nell’innovazione dando sempre risposte a tutte le esigenze del mercato”.
Quali insegnamenti impartiti da suo padre applica quotidianamente?
“Restare sempre coi piedi per terra quando le cose vanno bene e mai arrendersi quando, invece, le cose vanno male. Nel lavoro conta innanzitutto il rispetto delle regole, fondamentale per lavorare bene e ottenere risultati. Bisogna prendersi le proprie responsabilità: chi è bravo riceve i meriti che gli spettano e chi sbaglia si prende carico degli errori commessi. Fondamentale il rispetto reciproco fra tutti i collaboratori, perché ogni persona con il suo lavoro è importante all’interno dell’azienda e la Pelfa Group è cresciuta proprio grazie a questo: siamo prima di tutto un gruppo di persone che lavorano assieme le nuove strategia, essendo consapevoli che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da fare”.
E cosa prova a essere discendente di una realtà nata nel 1359?
“È una situazione molto difficile, perché eguagliare le capacità lavorative e imprenditoriali di mio padre è una battaglia assai dura. Il problema del cambio generazionale nelle aziende nasce proprio perché persone come mio padre hanno saputo creare aziende fantastiche dal nulla, persone che hanno dedicato passione e anima senza aver fatto corsi universitari o master internazionali. Sicuramente, il periodo tra gli Anni ’60 e ’90 offriva condizioni ottimali per poter avviare idee imprenditoriali uniche che hanno contribuito a far crescere il made in Italy nel mondo e qui in Friuli di esempi ce ne sono molteplici.
Oggi, a causa dei cambiamenti economici globali, fare impresa in Italia è sempre più difficile e portare alto il nome di un’azienda storica è sempre più complicato. Fortunatamente, la nostra azienda è un gruppo e il lavoro è suddiviso in modo organico tra i vari uffici. Tutti assieme, soci e collaboratori, possiamo guardare al futuro con fiducia”.
Della sua breve parentesi politico-amministrativa, che bilancio ha tratto?
“È stata un’esperienza breve, ma che mi ha permesso di vedere dal di dentro la macchina pubblica. Certamente, per lo stesso lavoro nel pubblico servono 5 dipendenti, mentre nel privato due, ma questo non è colpa dei lavoratori. Dietro a una pratica ci sono tante e tali complicazioni e responsabilità che richiede un lavoro lungo, meticoloso e spesso dispersivo. Il risultato finale è che l’impresa corre a 100 e gli enti pubblici a 50 e questo oggi non è più sostenibile. In verità, mi ha maggiormente impressionato la consistenza delle partecipate pubbliche, il cui ruolo nella maggior parte dei casi potrebbe essere tranquillamente affidato a imprese private con notevole risparmio e maggiore efficienza”.
Come valuta il piano di politica industriale avviato dall’attuale amministrazione regionale?
“Non ho mai nascosto le mie idee politiche e coerentemente non posso nascondere che l’attuale amministrazione regionale, a mio parere, attua pochissime soluzioni per migliorare la situazione economica delle aziende. Certo, la crisi avviata nel 2008 a livello globale ha creato problemi non solo alle aziende della nostra regione, ma a quelle di tutta l’Europa. L’assessore regionale Bolzonello è una persona molto disponibile nel valutare e ascoltare le proposte delle varie associazioni e Rilancimpresa nasce proprio dall’incontro di idee e proposte nate nei vari incontri. È un punto di partenza che valuto più che sufficiente, ma la reale situazione del mondo del lavoro oggi è drammatica e ci vorrebbero azioni più drastiche per essere veramente incisivi”.
Quale sarebbe un provvedimento che potrebbe portare benefici immediati alle imprese locali?
“Un anno fa, assieme ad alcuni colleghi imprenditori, inviammo una lettera a politici regionali e nazionali, non con una, ma con diverse proposte per rilanciare l’economia. Proposte più che mai attuali: azzerare la tassazione delle start-up per i primi anni, rivedere le norme del diritto fallimentare, puntare sul salario di produttività e sulla detassazione degli straordinari, garantire detrazioni sul credito d’imposta, dei contributi relativi ai giovani lavoratori assunti, maggiori facilità per le imprese a richiedere consulenze e facilitazioni per l’accesso al credito e l’internazionalizzazione. Infine, cosa molto difficile, creare nuove mentalità imprenditoriali attraverso un più incisivo utilizzo dello strumento delle reti d’impresa, al fine di essere sempre più competitivi nel mercato globale”.
Mantiene contatto con il Paese che le ha dato i natali? Cosa sta succedendo in India e quali opportunità il Friuli potrebbe cogliere da quel mercato?
“Il mio Paese d’origine è l’India, un Paese che ho nel Dna e che amo. Proprio per questo all’università ho studiato l’hindi, approfondendo così la storia, la religione, la cultura di una realtà straordinaria che ho visitato da nord a sud parecchie volte. Ho viaggiato facendo volontariato in vari centri missionari, vissuto in famiglia per diversi periodi a Delhi, insegnato l’italiano a imprenditori indiani e, infine, in uno dei miei ultimi viaggi a Calcutta, ho svolto un tirocinio presso il Consolato italiano. Ho conosciuto gente fantastica, persone che ti restano nel cuore e che tuttora sento, anche se gli impegni familiari non mi permettono al momento di poter tornare.
Oggi l’India è un Paese in fortissima crescita, con più di un miliardo di persone, con città dove la qualità della vita è pari a Roma o Milano. Sono infinite le possibilità di investimento in un Paese vasto come tutta l’Europa e con un tasso di crescita del 7,5%, superiore di fatto a quello della Cina. Non bisogna, poi, dimenticare le diversità ambientali, si va dalla catena dell’Himalaya con un clima freddo a un clima tropicale, come anche quelle culturali, religiose e linguistiche che caratterizzano il subcontinente indiano.
Certe tradizioni, come quella delle caste, stanno scomparendo, prima nelle città e poi nei villaggi, e l’India si prepara a essere non più un Paese in via di sviluppo, ma uno dei leader nell’economia globale stilando nuovi accordi economici con partner come la Russia, la Germania, l’America.
Quindi, l’Italia con il suo made in Italy potrebbe conquistare vaste fasce di mercato sia nel settore dei prodotti di alta gamma, sia nella costruzione di nuove infrastrutture. Purtroppo, la vicenda oscura dei due marò ha ‘allontanato’ il nostro Paese dall’India e ci vorranno anni prima di riacquistare fiducia con il governo indiano, perché credo che senza l’appoggio istituzionale entrare in questo Paese così diverso dal nostro può portare risultati solo marginali. Forse, abbiamo perso il treno e molti nostri concorrenti ora riescono a essere competitivi grazie proprio anche a questo mercato in forte espansione”.
Ai suoi figli, quando sarà il momento di scelte importanti, raccomanderà di costruire il proprio futuro in Friuli o è meglio che cerchino fortuna all’estero?
“La terra in cui si cresce è fondamentale perché forma la propria mentalità: ciò che siamo dipende da dove viviamo, ma al giorno d’oggi non possiamo fare a meno di confrontarci con il resto del mondo. La conoscenza e lo studio delle diverse culture e religioni aumenta la nostra capacità di analisi, di relazione con gli altri popoli e, perciò, credo che, oltre a una preparazione professionale, un’esperienza di studio o di lavoro all’estero sia un valore aggiunto non solo per i giovani, come i miei figli, ma per qualsiasi persona”.
Rappresenta l’ultima generazione di una stirpe imprenditoriale friulana, prima artigianale e oggi industriale, attiva fin dal 1359. Una realtà, che con sua padre Redento, è cresciuta negli ultimi trent’anni calcando le leve della qualità di prodotto e dell’internazionalizzazione, ma dandole in mano a una squadra in cui affiatamento, impegno e professionalità sono aspetti strategici. Perché l’acciaio lo fanno le persone. Indira Fabbro, classe ’78, è inserita nella gestione familiare della Pelfa Group, industria di Buja del settore metalmeccanico, specializzata in carpenteria e impiantistica, con un export al 95 per cento, tra Europa, Nord America e Russia, e circa 150 collaboratori. Nel suo passato anche una parentesi politico-amministrativa, quale assessore regionale per appena 50 giorni, durante l’ultimo scorcio della giunta Tondo. Imprenditrice, quindi, e anche madre, di tre figli tra 5 e 9 nove anni.
Per cosa si caratterizza il modello aziendale creato da sua padre Redento?
“È una realtà nata come terzista a conduzione familiare, ma che nel giro di pochi anni si è sviluppata investendo in nuovi macchinari unici nel loro genere in tutto il Nordest, investendo nel capitale umano con tecnici esperti che studiano e valutano al meglio le richieste di ogni cliente e lavorazione specifiche per ogni singola commessa. Fondamentale è il rapporto con il cliente con il quale si instaurano collaborazioni e scambio di mentalità e tecnologie che fanno crescere la competitività e la qualità di entrambe.
Un’altra caratteristica è aver saputo creare una rete aziendale con partner esteri ancor prima del 2008, una visione a lungo termine strategica che ha dato i suoi frutti e che ha portato l’azienda da un livello prettamente nazionale a uno internazionale, potendo così lavorare in modo costante anche in questi anni di crisi. Infine, l’azienda ha saputo rinnovarsi creando un nuovo settore, quello idroelettrico, che negli ultimi sei anni ha dato molte soddisfazioni con la costruzioni di turbine complete o di sue parti e il riconoscimento da parte della Regione per un progetto di innovazione per una nuova turbina per piccoli corsi studiata assieme all’Università di Udine.
Credo nella collaborazione tra aziende, anche di dimensioni diverse, ma complementari, creando un team di persone proattive e con mentalità di continuo miglioramento così come di controllo del processo a tutti i livelli. La nostra, in fin dei conti, è un’azienda in continuo divenire che non si è mai fermata nella ricerca e nell’innovazione dando sempre risposte a tutte le esigenze del mercato”.
Quali insegnamenti impartiti da suo padre applica quotidianamente?
“Restare sempre coi piedi per terra quando le cose vanno bene e mai arrendersi quando, invece, le cose vanno male. Nel lavoro conta innanzitutto il rispetto delle regole, fondamentale per lavorare bene e ottenere risultati. Bisogna prendersi le proprie responsabilità: chi è bravo riceve i meriti che gli spettano e chi sbaglia si prende carico degli errori commessi. Fondamentale il rispetto reciproco fra tutti i collaboratori, perché ogni persona con il suo lavoro è importante all’interno dell’azienda e la Pelfa Group è cresciuta proprio grazie a questo: siamo prima di tutto un gruppo di persone che lavorano assieme le nuove strategia, essendo consapevoli che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da fare”.
E cosa prova a essere discendente di una realtà nata nel 1359?
“È una situazione molto difficile, perché eguagliare le capacità lavorative e imprenditoriali di mio padre è una battaglia assai dura. Il problema del cambio generazionale nelle aziende nasce proprio perché persone come mio padre hanno saputo creare aziende fantastiche dal nulla, persone che hanno dedicato passione e anima senza aver fatto corsi universitari o master internazionali. Sicuramente, il periodo tra gli Anni ’60 e ’90 offriva condizioni ottimali per poter avviare idee imprenditoriali uniche che hanno contribuito a far crescere il made in Italy nel mondo e qui in Friuli di esempi ce ne sono molteplici.
Oggi, a causa dei cambiamenti economici globali, fare impresa in Italia è sempre più difficile e portare alto il nome di un’azienda storica è sempre più complicato. Fortunatamente, la nostra azienda è un gruppo e il lavoro è suddiviso in modo organico tra i vari uffici. Tutti assieme, soci e collaboratori, possiamo guardare al futuro con fiducia”.
Della sua breve parentesi politico-amministrativa, che bilancio ha tratto?
“È stata un’esperienza breve, ma che mi ha permesso di vedere dal di dentro la macchina pubblica. Certamente, per lo stesso lavoro nel pubblico servono 5 dipendenti, mentre nel privato due, ma questo non è colpa dei lavoratori. Dietro a una pratica ci sono tante e tali complicazioni e responsabilità che richiede un lavoro lungo, meticoloso e spesso dispersivo. Il risultato finale è che l’impresa corre a 100 e gli enti pubblici a 50 e questo oggi non è più sostenibile. In verità, mi ha maggiormente impressionato la consistenza delle partecipate pubbliche, il cui ruolo nella maggior parte dei casi potrebbe essere tranquillamente affidato a imprese private con notevole risparmio e maggiore efficienza”.
Come valuta il piano di politica industriale avviato dall’attuale amministrazione regionale?
“Non ho mai nascosto le mie idee politiche e coerentemente non posso nascondere che l’attuale amministrazione regionale, a mio parere, attua pochissime soluzioni per migliorare la situazione economica delle aziende. Certo, la crisi avviata nel 2008 a livello globale ha creato problemi non solo alle aziende della nostra regione, ma a quelle di tutta l’Europa. L’assessore regionale Bolzonello è una persona molto disponibile nel valutare e ascoltare le proposte delle varie associazioni e Rilancimpresa nasce proprio dall’incontro di idee e proposte nate nei vari incontri. È un punto di partenza che valuto più che sufficiente, ma la reale situazione del mondo del lavoro oggi è drammatica e ci vorrebbero azioni più drastiche per essere veramente incisivi”.
Quale sarebbe un provvedimento che potrebbe portare benefici immediati alle imprese locali?
“Un anno fa, assieme ad alcuni colleghi imprenditori, inviammo una lettera a politici regionali e nazionali, non con una, ma con diverse proposte per rilanciare l’economia. Proposte più che mai attuali: azzerare la tassazione delle start-up per i primi anni, rivedere le norme del diritto fallimentare, puntare sul salario di produttività e sulla detassazione degli straordinari, garantire detrazioni sul credito d’imposta, dei contributi relativi ai giovani lavoratori assunti, maggiori facilità per le imprese a richiedere consulenze e facilitazioni per l’accesso al credito e l’internazionalizzazione. Infine, cosa molto difficile, creare nuove mentalità imprenditoriali attraverso un più incisivo utilizzo dello strumento delle reti d’impresa, al fine di essere sempre più competitivi nel mercato globale”.
Mantiene contatto con il Paese che le ha dato i natali? Cosa sta succedendo in India e quali opportunità il Friuli potrebbe cogliere da quel mercato?
“Il mio Paese d’origine è l’India, un Paese che ho nel Dna e che amo. Proprio per questo all’università ho studiato l’hindi, approfondendo così la storia, la religione, la cultura di una realtà straordinaria che ho visitato da nord a sud parecchie volte. Ho viaggiato facendo volontariato in vari centri missionari, vissuto in famiglia per diversi periodi a Delhi, insegnato l’italiano a imprenditori indiani e, infine, in uno dei miei ultimi viaggi a Calcutta, ho svolto un tirocinio presso il Consolato italiano. Ho conosciuto gente fantastica, persone che ti restano nel cuore e che tuttora sento, anche se gli impegni familiari non mi permettono al momento di poter tornare.
Oggi l’India è un Paese in fortissima crescita, con più di un miliardo di persone, con città dove la qualità della vita è pari a Roma o Milano. Sono infinite le possibilità di investimento in un Paese vasto come tutta l’Europa e con un tasso di crescita del 7,5%, superiore di fatto a quello della Cina. Non bisogna, poi, dimenticare le diversità ambientali, si va dalla catena dell’Himalaya con un clima freddo a un clima tropicale, come anche quelle culturali, religiose e linguistiche che caratterizzano il subcontinente indiano.
Certe tradizioni, come quella delle caste, stanno scomparendo, prima nelle città e poi nei villaggi, e l’India si prepara a essere non più un Paese in via di sviluppo, ma uno dei leader nell’economia globale stilando nuovi accordi economici con partner come la Russia, la Germania, l’America.
Quindi, l’Italia con il suo made in Italy potrebbe conquistare vaste fasce di mercato sia nel settore dei prodotti di alta gamma, sia nella costruzione di nuove infrastrutture. Purtroppo, la vicenda oscura dei due marò ha ‘allontanato’ il nostro Paese dall’India e ci vorranno anni prima di riacquistare fiducia con il governo indiano, perché credo che senza l’appoggio istituzionale entrare in questo Paese così diverso dal nostro può portare risultati solo marginali. Forse, abbiamo perso il treno e molti nostri concorrenti ora riescono a essere competitivi grazie proprio anche a questo mercato in forte espansione”.
Ai suoi figli, quando sarà il momento di scelte importanti, raccomanderà di costruire il proprio futuro in Friuli o è meglio che cerchino fortuna all’estero?
“La terra in cui si cresce è fondamentale perché forma la propria mentalità: ciò che siamo dipende da dove viviamo, ma al giorno d’oggi non possiamo fare a meno di confrontarci con il resto del mondo. La conoscenza e lo studio delle diverse culture e religioni aumenta la nostra capacità di analisi, di relazione con gli altri popoli e, perciò, credo che, oltre a una preparazione professionale, un’esperienza di studio o di lavoro all’estero sia un valore aggiunto non solo per i giovani, come i miei figli, ma per qualsiasi persona”.