Chi all’inizio del secolo era pronto a scommettere che non si sarebbero ripetuti gli errori compiuti nella seconda metà del ‘900 ha dovuto suo malgrado ricredersi. Perché nonostante, urbanisti, ambientalisti e studiosi di ambiente nelle loro varie specializzazioni ripetano da almeno due decenni che bisogna smetterla con la copertura del suolo, il fenomeno prosegue imperterrito. E dato che il suolo non è una risorsa rinnovabile, appare il caso di affermare che stiamo letteralmente lastricando la terra sulla quale camminiamo e viviamo. A certificarlo è ancora una volta l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che nel Rapporto 2019 dedicato al consumo di suolo, traccia un quadro in netta controtendenza rispetto a quanto auspicato da chi si occupa di programmazione del territorio.
Non deve essere un caso il fatto che sulla copertina del rapporto, gli esperti dell’Ispra hanno messo la foto di Portopiccolo a Sistiana, area degradata (questo tratto della costa era stato sfregiato da una cava) trasformata in complesso residenziale e sul quale il dibattito è stato a dir poco rovente. Perché la nostra regione si colloca sempre nei piani alti della classifica sia se si ragiona in termini di percentuale del suolo consumato (8,9%, dato di poco sotto il dato medio riferito al Nord Est pari al 9,22%), sia se si cita il dato riferito esclusivamente al periodo 2017-2018, durante il quale sono scomparsi sotto cemento e asfalto 239 ettari. “In termini di incremento percentuale – si legge nel rapporto -, rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente, i valori più elevati sono in Abruzzo (+0,51%), Basilicata (+0,47%) Veneto (+0,41%) e Friuli-Venezia Giulia (+0,34%)”.
C’è tuttavia un piccolo dettaglio da non dimenticare: se è pur vero che regioni come Lombardia e Veneto sono inarrivabili quando si parla di cementificazione, è pur vero che i friulani pare si stiano dando un gran da fare dato che proprio la nostra regione raggiunge il secondo posto per suolo consumato calcolato su metri quadri per ettaro disponibile, pari a 3,01, addirittura superiore alla media del Nord Est. Il dato non tragga in inganno: tre metri quadri paiono pochi, ma bisogna tenere conto che l’arco alpino impedisce la metastasi con la sola esclusione dei fondo valle, dove ovviamente non stiamo con le mani in mano. Prendiamo come esempio Tavagnacco, che negli ultimi 40 anni è stato sostanzialmente devastato tra case, capannoni, strade e parcheggi: ebbene questo Comune ha consumato il 345,8% del suo suolo con 8, 357 metri quadrati consumati per ogni ettaro disponibile, quasi tre volte la media regionale. Udine invece, si fa per dire, ha consumato il 42,8% del suolo, percentuale addirittura superiore a quella di Pordenone (40,2%) e Trieste (34,7%), città dove pure lo spazio non abbonda.
Sempre meno spazio a disposizione
Dato che siamo più piccoli, lo spazio a disposizione è inferiore e, fatti i debiti rapporti, i danni dovuti al consumo inevitabilmente sono più alti. A conti fatti, ci siamo divorati finora quasi 70.700 ettari. Il Friuli Venezia Giulia continua a far parte della poco lusinghiera classifica dei divoratori di suolo anche se si valuta l’avanzata del cemento in rapporto ai residenti perché assieme a Basilicata, Veneto, Abruzzo è tra le quattro regioni che presentano valori superiori al doppio del dato nazionale sul consumo di suolo pro capite (0,8 m2/ab). Anzi, mentre la popolazione residente cala, la cementificazione aumenta e così abbiamo consumato 1,96 metri quadrati per abitante superando in voracità i vicini veneti.
Lo studio dell’Ispra è una miniera di dati e ne approfittiamo per evidenziare l’altra faccia della medaglia del fenomeno chiamato consumo di suolo: ovvero, man mano che cementifichiamo, resta sempre meno spazio per l’agricoltura: nel 2016 era censita come rurale un’estensione di territo pari a 5.999 chilometri quadrati, divenuti 5.991 nel 2017 e 5.985 nel 2018. Gli ambiti suburbani e urbani sono invece cresciuti, ma è soprattutto il primo a registrare l’aumento più impetuoso, segno che la cementificazione colpisce duro nei piccoli centri anziché nelle città, ormai sature. In questo caso il Fvg è addirittura secondo dopo il Veneto per arretramento dell’ambito rurale (meno 0,22 % nel triennio 2016-2018, il doppio della medias nazionale, superati solo dal Veneto).
Terreno impermeabile alla vita
Perché il consumo di suolo sia un problema è noto: ad essa è collegata l’impermeabilizzazione, ovvero la copertura permanente di parte del terreno. Un terreno meno permeabile, come si legge nel rapporto “comporta un rischio maggiore di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale e alla perdita delle capacità di regolazione dei cicli naturali e di mitigazione degli effetti termici locali. La copertura con materiali impermeabili è probabilmente l’uso più impattante che si può fare della risorsa suolo poiché ne determina la perdita totale o una compromissione permanente della sua funzionalità tale da limitare/inibire il suo insostituibile ruolo nel ciclo degli elementi nutritivi. Le funzioni produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente per-se, così come la loro possibilità di assorbire CO2, di regolare i flussi idrici, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e, spesso, la fruizione sociale. L’impermeabilizzazione deve essere, per tali ragioni, intesa come un costo ambientale, risultato di una diffusione indiscriminata delle tipologie artificiali di uso del suolo che porta al degrado delle funzioni ecosistemiche”. Forse a causa della crisi, i costruttori hanno cominciato a puntare sulle ristrutturazioni o il recupero dell’esistente, mentre gli urbanisti ormai parlano apertamente di rigenerazione del tessuto, principio in base al quale i Piani regolatori non soltanto non devono più permettere di cementificare nuovo suolo, ma prevedono dove possibile addirittura il ritorno allo stato naturale, previsione che appare a dir poco ottimistica visti gli appetiti che da sempre ci sono sul settore immobiliare. Solo a livello politico, per ora, queste istanze paiono essere apertamente ignorate ed anzi si insiste nel voler proporre e finanziare opere, soprattutto quando si tratta di viabilità, che a loro volta poi diffondono nuovo cemento, come purtroppo è sempre accaduto in passato.