Raimondo Raiola non può aver ucciso volontariamente Rahmani Zazai. E’ questa, in sintesi, la valutazione di Alessandro Franco, consulente della difesa nel processo in Corte d‘Assise a Udine per l’omicidio dell’afghano avvenuto il 6 giugno 2020 a Mortegliano. Raiola aveva ammesso di aver rapinato Zazai dei soldi destinati all’acquisto di stupefacenti, ma aveva raccontato che il proiettile mortale era partito inavvertitamente mentre colpiva la vittima con il calcio della sua Beretta.
Partendo dal racconto di Raiola e dalle perizie del medico legale e del Ris di Parma, l’esperto balistico ha escluso la volontarietà dello sparo perché incompatibile con i dati oggettivi. Sarebbe stato più naturale colpire Zazai alla schiena o alla nuca. Invece, ha considerato i dati oggettivi compatibili con il racconto di Raiola. La pistola avrebbe sparato a 10-15 centimetri di distanza dal capo della vittima e il dito avrebbe premuto il grilletto a causa e delle risposte fisiologiche della mano che si preparava all’impatto con la schiena della vittima. Un evento, ha spiegato il perito, non inconsueto per quel datato modello di pistola quando ha colpo in canna e cane armato ed è impugnata in un momento di forte stress.
Al processo hanno deposto anche il fratello di Raiola e un vicino di casa per sottolineare lo stato di turbamento dell’uomo nel giorno dell’omicidio e in quelli precedenti. L’avvocato difensore, Massimo Cescutti, ha letto alcune testimonianze, tra le quali quella della madre dell’imputato, e consegnato al legale di parte civile un assegno di 5mila euro, oltre alla promessa di Raiola di voler vendere la propria automobile e di consegnare il ricavato agli eredi della vittima.