“Siamo vittime della retorica: Resistenza, Liberazione, dopoguerra ci sono stati raccontati sempre in maniera parziale, ideologica, mitizzata. Questo ci ha allontanato dalla verità storica”. A parlare così è Alessandro Cattunar, goriziano, ricercatore presso il dipartimento di discipline storiche dell’Università di Padova. A 32 anni Cattunar, basandosi su riflessioni di autorevoli storici e aggiungendo spunti personali, propone una visione più obiettiva della complessità dei fatti di 70 anni fa, che non mancano, ogni anno, di scatenare polemiche.
Perché celebrare il 25 aprile accende ancora gli animi?
“Per motivi diversi. Celebrare la Festa della Liberazione significa ricordare un momento storico complesso, il passaggio dal regime fascista al dopoguerra. Inoltre chiama in gioco le decisioni individuali. Sulle scelte politiche, identitarie, religiose e di visione del mondo è normale che ci sia disaccordo, anzi, il contrasto è salutare, ma mi sorprende e mi dispiace che ci siano, dopo 70 anni, ancora polemiche soprattutto politiche che non tengano conto della complessità della situazione di allora”.
È stata la politica a strumentalizzare le posizioni?
“Assolutamente sì, da schieramenti diversi e contrapposti e per molto tempo, la politica ha proposto una lettura semplificata – e quindi imprecisa – dei fatti. All’inizio la situazione politica dell’Italia del dopoguerra era delicata, per cui si è creata una ‘mitologia’ sulla Resistenza che è servita a pacificare e unificare il Paese. Per esempio, discende da qui il mito che tutti gli italiani fossero da sempre antifascisti. In realtà durante il regime, la maggioranza afascista è rimasta silenziosa. Dall’8 settembre, invece, molti hanno trovato il coraggio di esporsi e di mettersi in gioco in prima persona. Questo non vuol dire che tutti si riconoscessero nei valori della Resistenza e dei partigiani in particolare. Anzi, la lettura ‘mitologica’ di quel periodo ha da un lato ridotto l’effettiva spinta rivoluzionaria dei movimenti partigiani, dall’altro ha tagliato fuori gli estremi: comunisti e filofascisti sono di fatto rimasti forze extraparlamentari”.
Quali sono state le conseguenze?
“La radicalizzazione delle posizioni di chi si è sentito espulso dalla dinamica democratica: ex partigiani che si sono sentiti poco apprezzati ed ex repubblichini che sono stati additati come criminali. Questa doppia lettura dei fatti è stata portata avanti troppo a lungo e ha travisato gli avvenimenti, portando a una interpretazione più ideologica che altro”.
È successo così per altri episodi storici, come le Foibe o Porzus?
“Certo. Entrambi sono stati raccontati come una contrapposizione tra ‘noi e loro’, tra ‘buoni e cattivi’. Non si tratta di giustificare tragici fatti di sangue, ma nemmeno di darne interpretazioni arbitrarie. Sulle Foibe, per esempio, sono state dette molte inesattezze. Una su tutte: si parlò per anni di pulizia etnica, ma si trattò di pulizia politica, effettuata per costruire un nuovo stato socialista, la Yugoslavia, senza opposizioni interne. La violenza non si rivolse solo contro gli italiani, ma anche contro sloveni e croati contari alle ideologie della nascente Federazione. Aberrante lo stesso, ma si tratta di correttezza storica. Anche in questo caso, poi, la politica è passata dal quasi totale silenzio sulle Foibe alla costruzione, dopo la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dello Stato yugoslavo, di una ‘mitologia’ funzionale a portare avanti certe posizioni”.
Come porsi, oggi, nei confronti della Festa della Liberazione?
“Ci deve servire da esempio positivo, perché anche noi, oggi, non restiamo nella zona grigia dell’indifferenza, ma prendiamo coscienza delle nostre scelte e valutiamo da che parte stare. Accadde anche durante la Resistenza: non tutti quelli che vi presero parte lo fecero animati da una forte coscienza civile e da alto impegno politico. In molti casi la scelta fu dettata da necessità contingenti. Non si può dire però, che ogni scelta sia uguale all’altra, anche se il rispetto per i caduti va garantito. Far parte della Resistenza o collaborare con i nazisti, era, ed è, diverso. Impossibile dire il contrario. D’altra parte possiamo anche imparare ad ascoltare gli altri e a cercare di capire le motivazioni di tutti, per ricostruire le dinamiche dal punto di vista storico”.
La scuola aiuta i ragazzi a interpretare nel modo giusto il 25 aprile?
“In tanti casi scuole e docenti approfittano di questa ricorrenza per affrontare argomenti legati all’educazione alla cittadinanza e per avvicinare i giovani ai valori condivisi: fratellanza, libertà, democrazia. La Resistenza è lontana e difficile da capire per gli adolescenti di oggi: per questo dobbiamo trovare strade alternative per trasmettere i valori universali”.
Coi nuovi media alla scoperta dei tesori del confine
Tra i suoi obiettivi c’è creare progetti che partano da eventi storici, ma che permettano di tratte dinamiche più ampie grazie all’utilizzo di mezzi di comunicazione attuali. L’associazione 4704 (dalle cifre degli anni di costituzione di caduta del confine a Gorizia: 1947 e 2004) nasce dalla volontà di realizzare progetti transfrontalieri focalizzati sulla storia del Novecento nell’area di confine tra Italia e Slovenia.
“Pensiamo al confine come uno stimolo culturale – spiega Alessandro Cattunar che ne è presidente -. Quello di Gorizia, inoltre, presenta caratteristiche particolari, che vogliamo raccontare. Io l’ho fatto con un saggio, ‘Il confine delle memorie. Storie di vita e narrazioni pubbliche tra Italia e Jugoslavia’ (Mondadori educational) che riporta testimonianze dirette, ma è necessario ampliare i destinatari del messaggio. Vogliamo perciò organizzare attività ricreative e culturali rivolte in particolare ai giovani con lo scopo di promuovere il confronto e il dialogo interculturale e intergenerazionale”.
Le attività dell’associazione 4704 sono improntate alla multimedialità. “Tra i nostri progetti di respiro europeo, c’è ‘Topografie della memoria’ – prosegue Cattunar -, un museo a cielo aperto in dieci tappe in alcuni dei luoghi più significativi per la storia di Gorizia e Nova Gorica strutturato come un laboratorio. C’è poi ‘In/visiblecities’, il primo festival internazionale della multimedialità urbana, che organizzeremo a Gorizia dal 3 al 7 giugno prossimi e che punta su performance e installazioni interattive, spettacoli e App che consentiranno di esplorare e agire sulla città attraverso le arti digitali e multimediali”.