Si potrebbe quasi definire un artigiano-artista, che definisce il suo lavoro “una fotografia di oggetti del quotidiano: ciotole, bottiglie, conchiglie, bicchieri…”, in cui il punto di vista centrale sono “una luce velata di silenzio su una gamma scura, gli oggetti che cercano la luce”. Autore di oggetti in unico esemplare, con cornice diversa per ogni stampa, affascinato dal mondo silenzioso di Morandi, Sergio Scabar (nato nel 1946 a Ronchi dei Legionari, dove vive e lavora) è finalmente protagonista della prima antologica in Italia a lui dedicata.
Da venerdì 28 e fino al 13 ottobre, i Musei provinciali di Gorizia presentano a Palazzo Attems Petzenstein Oscura camera (1969-2018), organizzata dall’Erpac e curata da Guido Cecere e Alessandro Quinzi: un omaggio a un artista che ha fatto dello scatto un vero strumento di riflessione e di indagine. Autodidatta, Scabar è diventato famoso per l’originalità de Il teatro delle cose del 1999, che ha segnato la sua svolta stilistica votata a una ricerca poetica incentrata sull’essenzialità degli oggetti e delle loro forme.
L’INTERNO DELLO ‘PSICHIATRICO’’
Il percorso espositivo è composto da quasi 300 fotografie e si sviluppa seguendo l’andamento cronologico del lavoro di Scabar, distinguibile in due fasi: una prima en plein air, del genere del reportage, e una più sperimentale e riflessiva, che dagli anni ‘90 in poi ha definito la sua cifra artistica. Nei reportage è la particolare sensibilità del suo sguardo a creare sistemi seriali di immagini dove l’inquadratura rimane fissa e sono gli oggetti e le persone a scorrere davanti all’obiettivo. Ne sono un importante esempio le 50 fotografie che Scabar scattò nel 1976 all’interno dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e alle quali è dedicata un’intera sala della mostra.
OGGETTI NATURALI
La serie dedicata agli ‘oggetti quotidiani’ del 1986 può invece considerarsi un’anticipazione del cambio di modalità operativa: se fino a quel momento l’artista si muoveva con riprese in esterno, prediligendo ampi spazi e la luce naturale – come nella serie dedicata a Trieste e ai manifesti pubblicitari – , successivamente sono i dettagli ‘macro’ ad attirare la sua attenzione. La sua produzione artistica si fa sempre più concettuale, arrivando a concentrarsi sul valore del ‘taglio’ nella fotografia, inteso sia come inquadratura, sia come ritaglio materiale della stampa fotografica. Scabar si concentra soprattutto sull’aspetto materico dei soggetti, indagati sia in bianco nero che a colori, con una serie di still life su cui agisce quella che lui chiama la filosofia del ‘silenzio di luce’ per indicare la condizione di tenue illuminazione delle sue opere.
FORMATI FUORI STANDARD
Dalla fine degli anni ‘90, la natura morta diventa l’asse portante della sua produzione. Proprio con Il teatro delle cose Scabar mette a punto, dopo anni di sperimentazioni, una particolare tecnica di ripresa e stampa ‘alchemica’ che gli consente di ottenere, sempre in esemplari unici, risultati particolari in termini di tonalità opache scure, che sono diventati il suo segno distintivo, con una ricerca di formati fuori standard. Gli oggetti che l’artista dispone di fronte alla fotocamera possono essere singoli, in coppia, oppure in gruppo: utensili da cucina, del mondo delle arti e mestieri, strumenti del fotografo d’altri tempi, ma anche vegetali e ortaggi, bottiglie e gli oggetti in vetro, in un variegato campionario di invenzioni che invita a una riflessione sulla caducità delle cose.