Più efficienti, più economici, meno inquinanti. Così dovranno essere le infrastrutture e i mezzi di trasporto del futuro. Futuro prossimo, s’intende, in quanto la congestione attuale della rete regionale non è più sostenibile. Il problema è che la mobilità richiede ingenti risorse economiche, in particolare pubbliche, che in tempi di bilanci di crisi mondiale, inevitabilmente, scarseggiano. Parimenti, quelle disponibili vanno indirizzate secondo una strategia complessiva del sistema trasportistico di merci e persone, evitando per quanto possibile scelte di solo opportunismo politico.
Se strategico risulta il super-porto di Trieste proposto da Unicredit, fondamentale è anche la sua interconnessione con gli altri scali dell’Alto Adriatico per poter essere appetibile per i traffici dal Far East. Senza un sistema ferroviario dell’entroterra, però, il progetto non ‘galleggia’ ed ecco la valorizzazione dell’asse verso Nord attraverso la sottoutilizzata “Pontebbana” e l’intervento Tav attraverso la Bassa friulana. L’autotrasporto, così, può avere un ruolo di connessione terminale rispetto alla filiera multimodale, riducendo così il suo impatto in termini di traffico e di inquinamento. Da non dimenticare il trasporto aereo e le opportunità che possono derivare dall’alleanza dello scalo regionale con operatori nazionali, probabilmente la Save che già gestisce Venezia e Treviso.
Infine, il trasporto privato su gomma. In questo caso qualche domande inevasa si impone. La moda dei mobility manager, pubblici e nelle aziende, si è esaurita senza portare risultati concreti? E il telelavoro che poteva ridurre il pendolarismo verso il posto di lavoro? Ai posteri l’ardua sentenza.