Stimolare la produzione e il consumo di prodotti biologici e raggiungere così il 25% dei terreni agricoli entro il 2030 in regime di produzione bio. Sono questi gli obiettivi del Piano d’azione sul bio presentato la scorsa dalla Commissione europea a metà dello scorso marzo. È per alcune regioni questo obiettivo è molto ambizioso. Tra esse anche il Friuli-Venezia Giulia, dove questo metodo di coltivazione e allevamento rappresenta secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili (al 2018) il 7 per cento, anche se recentemente ha continuato a crescere. Quindi la salita alla montagna è ancora lunga, ma il tempo è veramente limitato visti i cicli agricoli.
La produzione biologica, si legge nel Piano europeo, presenta una serie di importanti benefici: i campi a coltura biologica hanno circa il 30% in più di biodiversità, gli animali da allevamenti biologici godono di un livello più elevato di benessere e assumono meno antibiotici, gli agricoltori dediti alla produzione biologica hanno redditi più elevati e sono più resilienti e i consumatori sanno esattamente cosa acquistano grazie al logo biologico dell’Ue. Il piano d’azione è in linea con il Green Deal europeo e le strategie dal produttore al consumatore e biodiversità.
Il Piano d’azione è concepito per fornire al settore biologico, già in rapida crescita, gli strumenti adeguati per raggiungere l’obiettivo del 25 per cento e intende farlo attraverso sia il sostegno alla domanda sia alla produzione, in particolare migliorandone la sostenibilità. Tra il dire e il fare, ovviamente… Infatti, questa sfida suscita numerosi interrogativi. Tra essi, in particolare, come garantire la marginalità alle imprese agricole e di trasformazione e come adeguare gli incentivi alla conversione. Questioni non da poco, perché a vincere in questa sfida, appunto, dovranno essere assieme consumatori e produttori.
PRODUTTORI MEGLIO ORGANIZZATI – Una domanda in costante crescita e una offerta che ha bisogno di organizzarsi. È questo il quadro locale del settore biologico secondo la principale associazione che riunisce nella nostra regione i produttori che hanno sposato questo metodo produttivo. Per Cristina Micheloni, presidente di Aiab Fvg, la leva strategica è rappresentata da informazione e diffusione di cultura in materia, sia tra i consumatori sia tra gli stessi agricoltori e allevatori.
Qual è la consistenza attuale del sistema produttivo biologico nella nostra regione? “Gli ultimi dati ufficiali, che fanno riferimento a fine 2019, riportano circa 13.000 ettari di superfice agricola utilizzata (Sau) bio in regione. Abbiamo poi controllato alcuni errori di imputazione dati e aggiornato con le informazioni del 2020 e primo trimestre 2021 e possiamo stimare che, verosimilmente, ci sono ulteriori mille ettari. Di questi ce ne sono circa 3.000 a seminativo, 280 per l’orticoltura, 400 di fruttiferi (melo e un po’ di kiwi) e 1.800 di vigneto. La zootecnia è ancora limitata, a parte qualche bella eccellenza per quanto riguarda le ovaiole e il latte bovino, con poche aziende anche di grandi dimensioni e diverse aziende familiari che producono carne avicola e bovina nonché formaggi per i circuiti locali. Anche tra le aziende di dimensioni medio-piccole abbiamo alcune eccellenze qualitative riconosciute sui mercati e non solo locali. Sul fronte dei trasformatori, ci sono diversi artigiani del settore dei prodotti da forno, dei trasformati vegetali e anche qualche aziende di livello industriale, tra cui un leader europeo dei trasformati di soia e frumento. Un discorso a parte merita il settore del vino bio, in crescita costante da circa 8 anni, con vignaioli rinomati che progressivamente abbracciano le tecniche del biologico. Acquacoltura bio ce n’è ancora molto poca, anche se potrebbe essere un’interessante opzione per valorizzare sia le produzioni di acqua dolce, come le trote, sia di mare, inclusi i molluschi”.
L’offerta locale soddisfa la domanda locale? “In Friuli-Venezia Giulia si mangia molti più bio di quanto non si produca! Risposta semplicistica, perché bisognerebbe differenziare per tipo di prodotto, per fascia di prezzo, per tipologia di mercato, ma ben riassume la realtà. Nel 2020 gli acquisti di biologico a Nordest sono aumentati del 7,2% nella grande distribuzione, con una crescita del 17% specifico in Friuli-Venezia Giulia per i mesi da marzo a maggio del 2020, ovvero durante il lockdown. Senza, poi, contare la vendita diretta e i diversi sistemi di consegna a domicilio che durante la pandemia hanno registrato crescite incredibili. Bisogna anche dire, però, che ciò che manca, soprattutto per i prodotti freschi come frutta e verdura ma anche per tutti i seminativi, è un’aggregazione dell’offerta, in modo tale da poter affrontare anche richieste più articolate, come la ristorazione collettiva. Qui c’è uno spazio di miglioramento su cui lavorare”.
La Commissione Europa ha indicato il 2030 quale termine per la conversione a biologico del 25% della superficie coltivata. Pensa che sia un obiettivo sostenibile per la nostra regione? “In realtà il 25% di Sau bio al 2030 è uno degli obiettivi della strategia Farm to Fork, su cui far convergere gli altri strumenti politici come la Pac, Horizon Europe, i fondi per la promozione e altri. Quindi nessun obbligo per nessuno, ma concreto obiettivo politico, che deve avere un minimo di visione e di ambizione… altrimenti non servirebbe nemmeno la politica! In Italia siamo al 16% circa, in Friuli-Venezia Giulia sotto la metà, però gli ingredienti ci sono: è questione di avere una strategia regionale condivisa e remare tutti dalla stessa parte. L’Austria è già oltre il 26% e non sono tutti pascoli alpini, dato che è il distretto attorno a Vienna quello con maggior concentrazione di produzione e consumo bio. E come hanno fatto? Strategia condivisa e continuità sulle scelte politiche, assieme a tanta ‘conoscenza’, ovvero investimenti in ricerca, innovazione e formazione. Ciò a tutti i livelli, non solo quelli agricoli”.
Secondo voi quali azioni dovrebbero essere messe in campo per raggiungere questo obiettivo? “Appunto… strategia! Ovvero mettere assieme gli Assessorati di Agricoltura, Salute, Formazione, Industria e Ambiente e per cinque anni, meglio dieci, lavorare in sinergia e permettere, tanto per fare un esempio, alle mense scolastiche che mangiano bio di trovare ciò che cercano qui in regione, dando i necessari tempi di programmazione, visto che l’aggregazione dei produttori è un’altra necessità. Infine, come per l’Austria, serve tanta conoscenza. Aiab Fvg collabora già con l’agenzia regionale Ersa e con l’Università di Udine su diverse attività tecniche e di innovazione. Sempre con Ersa abbiamo un importante programma nelle scuole primarie, ma servirebbe tanto di più e con continuità negli anni. In realtà già il Piano d’Azione Europeo per il Biologico, pubblicato lo scorso marzo, delinea molti elementi che si possono mettere in campo, si tratta solo di scegliere quelli più adatti al contesto locale e farne un percorso”.
Gli imprenditori agricoli, da una parte, e i consumatori, dall’altra, sono pronti a questo cambio ‘culturale’ prima che ‘colturale’? “È assolutamente culturale più che e prima che colturale e diventa utile anche a chi biologico non è. Buona parte dei consumatori sono pronti, si deve continuare a fare informazione ma c’è una buona base. Sul fronte degli agricoltori serve maggior lavoro, ma in realtà se si cominciano a condividere dei ‘buoni esempi’ poi il processo parte. In agricoltura le cose però non sono mai rapide, ci vogliono anni per mettere, anzi rimettere in equilibrio un terreno e anche di più per cambiare le abitudini degli agricoltori e anche dei tecnici. Quindi l’importante è investire in conoscenza e iniziare a farlo subito” .
SERVE UNA DOMANDA PIÙ CONVINTA – L’ obiettivo del 25% di agricoltura biologica è solo una componente di una strategia agricola molto più ampia e articolata indicata dall’Unione Europea, che richiede cambi di mentalità da parte di tutti gli operatori delle filiere, ma anche degli stessi consumatori, come sottolinea Marco Malison, responsabile del servizio tecnico economico di Coldiretti Fvg.
La Commissione Europa ha indicato il 2030 quale termine per la conversione a biologico del 25% della superficie coltivata. Pensa che sia un obiettivo sostenibile per il Friuli-Venezia Giulia? “Oltre al target per l’agricoltura biologica, la strategia ‘farm to fork’ adottata dall’Ue prevede obiettivi molto ambiziosi anche per l’agricoltura convenzionale per la quale si ipotizza una riduzione del 50% dell’uso di fitofarmaci, una riduzione del 20% dei fertilizzanti e una riduzione del 50% dei farmaci veterinari. Non sarà facile per il Friuli-Venezia Giulia raggiungere queste percentuali perché, rispetto alle regioni del centro-sud Italia, le particolari condizioni climatiche impongono strategie di difesa fitosanitaria più impegnative. In regione oggi abbiamo circa 15.000 ettari in coltura bio, per lo più foraggere e vite, che rappresentano meno del 5% della superficie agricola utilizzata quando la media nazionale si aggira attorno al 15 per cento. Ciononostante il numero di operatori biologici continua a crescere anche in Friuli-Venezia Giulia e si moltiplicano iniziative, anche collettive, su altri regimi di produzione sostenibile come il Sistema qualità nazionale di produzione integrata (Sqnpi)”.
Secondo voi quali azioni dovrebbero essere messe in campo? “La formazione tecnica degli operatori è un punto di partenza imprescindibile perché l’agricoltura biologica, oltre a una scelta etica, deve garantire reddito all’impresa. Nella generalità dei casi chi la pratica si dichiara soddisfatto anche delle condizioni di mercato ma è fuor di dubbio che risulta esposto a maggiori rischi lungo il processo produttivo. Il programma di sviluppo rurale mette a disposizione ingenti risorse per la formazione che potrebbero, anzi dovrebbero, essere sfruttate maggiormente dagli agricoltori”.
Gli imprenditori agricoli, da una parte, e i consumatori, dall’altra, sono pronti a questo cambio culturale prima che colturale? “Probabilmente c’è da lavorare maggiormente sul fronte del consumatore rispetto all’agricoltore che, più o meno velocemente, si adatta sempre a produrre ciò che richiede il mercato. A parole tutti preferiscono prodotti biologici, a kilometro zero e di stagione. Nei fatti però la maggior parte dei consumatori pretende prodotti perfetti, in tutte le stagioni e al minor prezzo possibile. La qual cosa, per evidenti motivi, non è compatibile con la produzione biologica”.
OCCHIO ALLA REDDITIVITÀ – Un raddoppio in così pochi anni della superficie biologica italiana, e per quanto riguarda la nostra regione addirittura una triplicazione, potrebbe portare degli scompensi ai prezzi di mercato e alla redditività delle imprese, specie quelle di medie dimensioni che rappresentano l’ossatura del sistema agricolo, come spiega Philip Thurn Valsassina, presidente di ConfagricolturaFvg.
Ritiene che l’obiettivo del 2030 indicato dalla Commissione Europa sia sostenibile per il Friuli-Venezia Giulia? “L’obbiettivo è molto ambizioso, ma realizzabile. C’è tanto lavoro da fare e, tra l’altro, c’è da capire se queste superfici saranno dedicate alle colture principali da reddito o se saranno recluse alle aree marginali. Certo che un raddoppio delle superfici potrebbe causare una riduzione della marginalità del biologico rendendolo conveniente solo per poche aziende”.
Secondo voi, quali azioni dovrebbero essere messe in campo? “Ci sono varie cose alle quali pensare, iniziando dal creare una struttura di contributi economici per facilitare la transizione, oltre a uno specifico supporto tecnico. Bisognerà lavorare sulla creazione di filiere di prodotto per accedere al mercato. Non da ultimo bisogna far avanzare la ricerca specifica su rotazioni, tecniche agronomiche (meccaniche e di difesa), ricerca genetica che probabilmente non potrà fare a meno degli Nbt (New breeding techniques), colture intercalari e di copertura, fitofarmaci autorizzati”.
Come va gestito il cambio culturale da parte di imprenditori agricoli e i consumatori? “Gli imprenditori in quanto tali se riscontreranno una sostenibilità (economica, sociale e ambientale) a condurre i terreni con tecniche prescritte dal disciplinare del biologico lo faranno. lo vedo più facile per piccole aziende a conduzione familiare che potrebbero optare per culture intensive o per le grandi aziende che possono fare economie di scala su culture estensive. Sono preoccupato per le aziende di media estensione, che oramai rappresentano l’ossatura agricola regionale e che hanno scommesso, negli anni, sui seminativi per cui la transizione sarà complicata. Per quanto concerne i consumatori non vedo criticità. Le 128 aziende per 4.356 ettari complessivi che fanno affidamento a Confagricoltura in Friuli-Venezia Giulia, hanno già creato un mercato per quanto una crescita dell’offerta ne potrebbe diminuire l’elasticità e portare a un aumento generalizzato dei prezzi e, bisogna capire dunque, come questo influirà sulla domanda”.