Il mare Adriatico lancia un grido d’allarme con la voce della città di Dubrovnik: la città croata è al collasso, assediata dai rifiuti marini che, favoriti dalla corrente, inquinano le sue acque arrivando direttamente dall’Albania. L’Adriatico è infatti percorso da un flusso marino che entrando dal canale d’Otranto risale la costa orientale, per poi lambire il Friuli Venezia Giulia, e ridiscendere verso il Mediterraneo seguendo le coste italiane. Parafrasando l’effetto farfalla di Lorenz, una bottiglia di plastica lanciata in mare a Scutari probabilmente arriverà prima o poi a Trieste o Lignano. Ma la dimensione del fenomeno è molto più grande di una bottiglietta di plastica. Per esempio in un seminario il velista Giovanni Soldini, forte di un’impressionante esperienza che l’ha visto incagliarsi su di un’isola di plastica galleggiante, ha previsto che "fra vent’anni non sarà più possibile navigare in sicurezza per la quantità e la dimensione dei rifiuti marini”.
Occorre immediatamente tappare la falla dell’inquinamento marino, individuando i rifiuti dispersi in mare, sopra e sotto la superficie. E in questo la tecnologia ci dà un notevole supporto. Ad esempio con la robotica marina che, grazie a veicoli adattati a specifici utilizzi, permette di scandagliare superficie e profondità marine. Grazie ai robot e a particolari sonde riusciamo a individuare i rifiuti marini classificandone precisamente la tipologia. E questo anche mettendo a confronto le rilevazioni satellitari con l’esplorazione diretta delle acque tramite robot. I mezzi tecnologici per individuare i rifiuti marini ci sono. Ora occorre una reale collaborazione territoriale per stabilire chi pulisce cosa e quando.
Guido Bortoluzzi, docente del Dipartimento di Scienze economiche, aziendali, matematiche e statistiche “Bruno de Finetti” (Deams) dell’Università di Trieste