La preparazione antica dei cibi tradizionali friulani cela un’anima segreta, che si impasta con la scelta degli alimenti utilizzati, si fa interazione fra gli ingredienti, sancisce in una specie di liturgia i tempi e i modi dell’allestimento della mensa. La sapienza del sapore ha infatti radici lontane, che si fa culto e rito, acquisisce sfumature simboliche fortissime, ha a che fare con la condivisione, la metamorfosi, la trasformazione, e segue sempre il ciclo delle stagioni, il tempo sacro della festa, quando la comunità si riunisce intorno ad una mensa-altare per celebrare insieme i suoi rituali di passaggio. Tra tutti i simboli la mensa imbandita resta quello più importante, più pregno e carico di significati atavici e complessi. Mangiare e bere assieme significa infatti condividere, assumere quegli alimenti che trasformeranno coloro che vi pongono mano in un corpo solo e un’anima sola.
I cibi della festa si fanno portatori di un vincolo magico, in cui risiede tutto il loro potere. Il sapore rituale si arricchisce in virtù della preparazione, che si compie nello spazio già di per sé fortemente simbolico della cucina: sono importantissimi i gesti, le parole, ma anche i tempi, il luogo e il momento del reperimento degli ingredienti. Certamente il cibo più sontuoso che si possa preparare nei giorni di festa è dato dai cjarsons, associati a tutte le liturgie fortemente ritualizzate, come per esempio il pranzo di Pasqua, quello della Vigilia di Natale o ancora quello delle nozze. Agnolotti di pasta imbottiti con una farcitura detta pistùm, quindi cotti in brodo o soffritti nel grasso. Il ripieno è ritualmente importante: la sua etimologia va riferita a impastum, da cui anche ‘pastone’, nel senso di un composto derivato dall’apporto di vari componenti fra loro eterogenei, ma alla fine amalgamati assieme.
Le erbe utilizzate in cucina meritano un discorso a parte. Venivano raccolte dalle donne, depositarie di quella millenaria sapienza che permetteva loro di ‘peragrare’ i prati, i bordi dei campi e le radure boschive alla ricerca di una vastità davvero impressionante di esemplari, molti dei quali venivano consumati cotti e bolliti, ma anche in insalata. Tradizione vuole che al plenilunio di marzo lis vedranis, le zitelle, preparassero una frittata con uova rigorosamente raccolte dalla paglia in giornata e quindi strapazzate assieme al litùm o lidùm. Pare che il piatto avesse risultati portentosi. Quali non è dato sapere. Ma basterebbe provare per credere.