L’assessore regionale alle Finanze Barbara Zilli ha illustrato in sede di I Commissione regionale integrata il disegno di legge concernente il “Rendiconto generale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia per l’esercizio finanziario 2019”. L’avanzo di bilancio dell’esercizio finanziario 2019 ammonta a 1.099.726.625,88 euro e si compone per 572.126.854,97 euro della parte accantonata; per 313.139.371,30 euro della parte vincolata; per 4.535.633,36 euro della parte destinata a investimenti; per 209.924.766,25 euro della parte disponibile.
Come è stato precisato dall’assessore, il documento viene esaminato dal Consiglio successivamente anziché contestualmente alla manovra estiva di bilancio in virtù del decreto legge 17 del 2020 e ha già ottenuto l’anticipata parificazione da parte della Corte dei conti. Ora dovrà essere ratificato dall’Aula consiliare entro il termine del 30 settembre.
L’anno 2019, a livello di stato patrimoniale, si è chiuso per la Regione Friuli Venezia Giulia con un attivo di 6.671 milioni di euro e un patrimonio netto di 5.203. Un risultato di esercizio positivo che sarà destinato alla copertura delle perdite degli esercizi pregressi. Le entrate accertate in competenza, inoltre, sono state di 7.242 milioni e le spese impegnate in competenza di 6.842 mln, mentre le somme incassate complessivamente (in competenza e residui) sono state pari a 7.414 mln e quelle pagate complessivamente (in competenza e residui) a 7.180.
Questi alcuni degli elementi emersi oggi a Trieste nel corso dei lavori della I Commissione consiliare integrata, riunita nell’emiciclo di piazza Oberdan e chiamata, in quanto deputata all’esame generale del documento, ad assistere all’illustrazione da parte della Giunta regionale del disegno di legge 97, il Rendiconto generale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia per l’esercizio finanziario 2019.
Il documento, suddiviso in otto articoli, è stato presentato ricordando che il decreto legge 18/2020 (il cosiddetto Cura Italia) prevede il differimento del termine di approvazione del Rendiconto per il Consiglio. Inoltre, limitatamente all’esercizio finanziario 2020, esso consente alle Regioni l’utilizzo della quota libera dell’avanzo di amministrazione dell’anno precedente per il finanziamento di spese correnti connesse con l’emergenza sanitaria da Coronavirus.
La norma, approvata dalla Giunta regionale il 12 giugno e già ottenuta la parificazione da parte della Corte dei conti (il Consiglio regionale lo esaminerà, perciò, successivamente e non contestualmente alla manovra estiva di bilancio con ratifica dell’Aula entro il 30 settembre), tiene anche conto delle misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
La gestione dei residui evidenzia 959 milioni di euro per quelli attivi e 585 per i passivi, mentre i Fondi pluriennali vincolati di spesa ammontano a 1.803 milioni (172 di parte corrente, 1.626 di conto capitale e 5 quale incremento delle attività finanziarie). Inoltre, è stato accertato un fondo cassa di 2.529 milioni con un avanzo di bilancio pari a 1.099 milioni (572 la parte accantonata, 313 quella vincolata, 4,5 destinati agli investimenti e 209,9 relativi alla parte disponibile).
La I Commissione consiliare integrata tornerà a riunirsi in Aula giovedì pomeriggio per soffermarsi sull’esame del ddl 97 (per il quale sono previsti alcuni emendamenti, al fine di correggere alcuni specifici passaggi numerici) e affrontare il tema della Dichiarazione di affidabilità del Rendiconto generale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e di legittimità e regolarità delle relative operazioni (Das) per l’esercizio 2019.
Coordinamento della finanza pubblica e tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi da parte della Regione Friuli Venezia Giulia: è quanto contenuto in due documenti della sezione di controllo della Corte dei Conti esaminati dalla I Commissione consiliare, documenti che saranno portati all’attenzione dell’Aula in una delle prossime sedute.
Il Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica regionale si compone di tre parti: “Dalle Unioni territoriali intercomunali (Uti) agli Enti di decentramento regionale (Edr). Il ruolo di finanza pubblica spettante alla Regione in relazione all’evoluzione dell’ordinamento delle autonomie locali del Friuli Venezia Giulia”; “Soggetti, forme e relazioni organizzative della Regione Friuli Venezia Giulia nell’ottica della finanza pubblica”; “Monitoraggio sulla consistenza degli organismi societari partecipati dagli enti locali del Friuli Venezia Giulia al 31 dicembre 2019, alla luce dell’attuazione dei provvedimenti di razionalizzazione delle partecipazioni adottati dagli enti con riferimento al 31 dicembre 2017”.
La prima parte del Rapporto – si apprende leggendo la relazione – è stata sollecitata dall’articolata riforma ordinamentale degli enti locali del Fvg. Si tratta di uno studio che va di pari passo con il secondo, inerente l’individuazione dei connotati fondamentali della funzione regionale alla luce delle importanti novità introdotte dal protocollo d’intesa Stato-Regione risalente al febbraio 2019.
Il primo referto, dunque, individua lo stato organizzativo e gestionale in cui le Uti versavano al 30 giugno 2019 (con riferimento alla consistenza del personale in servizio e alle funzioni esercitate); contestualizza nello scenario regionale le gravi difficoltà operative che esse hanno incontrato; evidenzia i motivi di tali difficoltà e dei risultati conseguiti (obiettivamente inferiori rispetto alle aspettative, commenta la Corte).
A emergere sono problematiche già esaminate, come quella concernente i ruoli del personale dipendente dei Comuni e quelle aperte dall’ultimo contratto collettivo del comparto unico, e si dà evidenza agli effetti della soppressione delle Province relativamente alle nuove destinazioni e ai costi del personale trasferito alla Regione.
A detta della Corte, la riforma ordinamentale degli enti locali avviata nel 2014 e la sua revisione, avviata nel 2018, muovono da concezioni del rapporto Regione-enti locali ampiamente divergenti. Inoltre, specifici aspetti delle competenze comunali (ad esempio in relazione al significato dei subambiti) sono stati intesi e valutati in senso diametralmente opposto da chi era favorevole e da chi era contrario alle Uti.
L’inadeguatezza dell’attività svolta dalle Uti – sostiene la Corte – è soprattutto riferibile alla tempistica entro cui i Comuni erano chiamati a esercitare le opzioni rimesse alla loro competenza, ad approntare idonei supporti e professionalità per l’esercizio associato delle funzioni e dei servizi in un quadro generale che avrebbe dovuto prevedere un opportuno periodo di sperimentazione. Inoltre, non vi sono preliminari valutazioni circa i contenuti delle leggi (interessate, in un quadriennio, da circa una ventina di modifiche) né prognostici sulle cronologie previste per gli adempimenti e sugli effetti attesi. Anche l’ampio contenzioso giudiziale instauratosi tra alcuni Comuni e la Regione durante l’istituzione delle Unioni non ha giovato e i suoi costi sono rimasti a carico della collettività.
Il sistema Uti, inoltre, non ha fruito delle risorse umane derivanti dalla soppressione delle Province, transitate pressoché esclusivamente nei ruoli del personale regionale (al 31 dicembre 2017, su 1.210 dipendenti provinciali, 1.034 erano stati assorbiti dalla Regione). Per non parlare del cosiddetto avvalimento inverso che ha riguardato i Comuni di maggiore dimensione, ove erano le Uti ad avvalersi delle strutture e competenze comunali e non viceversa, come previsto dalla legge.
La significativa valorizzazione dell’autonomia comunale contrapposta al precedente centralismo regionale, attraverso le leggi regionali 31/2018 e 21/2019, è alla base della riforma delle autonomie locali avviata nella XII legislatura.
Da diversi fattori analizzati dalla Corte emerge la necessità di una condivisione delle funzioni e dei servizi comunali. L’organo di controllo ritiene proficue le soluzioni organizzative basate sull’esercizio associato o comunque condiviso di funzioni e servizi, specie per i Comuni di piccole dimensioni, e nel contempo esprime la propria perplessità per previsioni normative che affidassero tale condivisione esclusivamente allo spontaneismo dei singoli Comuni.
È necessario individuare il migliore equilibrio tra l’autonomia decisionale da riconoscere ai Comuni e l’esercizio delle funzioni e delle attività che competono alla Regione. La fondamentale funzione di coordinamento della finanza pubblica che compete alla Regione le attribuisce un ruolo di garante bidirezionale, perché deve essere esercitato tanto nei confronti dello Stato quanto nei confronti degli enti locali.
La seconda disamina della Corte è inserita in un più ampio scenario, che prende in considerazione le modalità attraverso le quali si esplica l’azione regionale nell’arco temporale 2014-19 e di ognuna delle quali è rilevata la dimensione finanziaria.
Nello svolgimento delle funzioni regionali si può individuare una tripartizione dell’azione regionale a seconda che essa sia svolta direttamente dall’apparato amministrativo regionale; sia posta in essere da soggetti di cui la Regione si avvale per il perseguimento delle sue finalità; sia oggetto di delega a favore di soggetti formalmente estranei all’amministrazione regionale.
I controlli della Sezione, in questo caso, sono stati eseguiti ai fini delle dichiarazioni di affidabilità del rendiconto regionale e hanno talvolta evidenziato una carente verifica da parte del soggetto delegante (ad esempio il rispetto dei termini per l’esecuzione dell’attività delegata).
Nel 2018, gli enti che hanno fruito di trasferimenti finanziari dalla Regione per la loro veste di delegatari di funzioni o attività regionali sono stati 31, per un importo di circa 267 milioni di euro. In linea generale, l’incidenza finanziaria della spesa annua regionale sostenuta per mezzo degli enti e degli organismi regionali delegati ammonta all’incirca al 10% della spesa annua complessiva.
Infine, il terzo referto espone gli esiti del monitoraggio della Corte dei Conti concernente la partecipazione degli enti locali a organismi societari al 31 dicembre 2019. Quantifica in primo luogo l’entità complessiva delle società partecipate dagli enti locali della Regione che, dalle 135 unità esistenti a inizio 2012, scende a 91 unità a fine 2019 (-32,59%). Di queste 91, 17 sono interessate da un procedimento di liquidazione, che in alcuni casi è datato 2009 oppure 2010, a dimostrazione delle difficoltà operative che gli enti incontrano nella dismissione delle partecipazioni.
Alla diminuzione del numero delle società corrisponde una contrazione del numero complessivo delle partecipazioni, che passa da 961 unità (a inizio 2012) a 743 unita (a fine 2019), con una variazione pari a -22,68%. Per quanto attiene ai settori in cui operano le 74 società non interessate da un procedimento di liquidazione, il monitoraggio ha evidenziato che esse operano principalmente nei settori turismo (27,03%), economia, commercio, industria e artigianato (24,32%), acqua, energia, gas e rifiuti (22,97%).
A fine 2019 erano pendenti, o comunque non concluse, 199 procedure di dismissione, 85 delle quali (42,71%) afferiscono a società in liquidazione e 82 (41,20%) a società per le quali era già stata decisa la dismissione con provvedimenti precedenti.
Quanto ai contenuti degli atti deliberativi assunti dagli enti, per più della metà delle partecipazioni (58%) presentano motivazioni inidonee a giustificarne compiutamente il mantenimento.