Indietro non si torna, perché sebbene molte cose al Nue non funzionino a dovere, sarebbe una follia ripartire da zero. Ne è convinto il vicepresidente e assessore regionale alla Salute, Riccardo Riccardi, che in passato non lesinò critiche sul Numero unico delle emergenze.
“Ho ereditato una struttura partorita troppo in fretta. O buttavo via tutto o tentavo di mettere a posto le cose. Ho scelto quest’ultima ipotesi. Se devi ristrutturare un condominio non lasci senza casa i suoi residenti, ma procedi un pezzo alla volta cercando di limitare i disagi. La mia critica di fondo non era quella se istituire il numero unico, che risponde a linee definite a livello nazionale, quanto il come farlo. Hanno fatto le cose in fretta e furia, adottando un modello che invece di essere progettato ex novo si è ispirato a quello di altri numeri d’emergenza, in particolare il 118; prima le scelte tecnologiche e poi quelle organizzative hanno finito per pesare. Certo lo sforzo è maggiore se si cerca di mettere a posto l’esistente, tanto più che stanno emergendo dati inattesi. Il problema dunque è sistemare questa tecnologia senza buttare via tutto. A meno che non si ritenga verosimili opzioni campate per aria, come quella di chi vuole tornare al 118 gestito a livello provinciale”.
Subito dopo l’avvio del Nue, l’allora assessore Paolo Panontin parlò di difetti di gioventù che sarebbero stati presto risolti.
“Questa regione è stata la prima ad organizzare la rete del 118 sulla base di un modello pensato e costruito su misura. Nel caso del Nue, invece, hanno calato dall’alto un modello pensato per altre realtà: volevano dimostrare, prima delle elezioni, che sarebbero stati capaci di fare meglio degli altri. Una scelta errata che stiamo pagando. Ma qualcuno pagherà un conto ancora più salato”.
Abbiamo a che fare quasi con una crisi di rigetto?
“Il problema, ripeto, è come sono state fatte le cose. Sono coerente e non rimangio le critiche fatte a suo tempo. Abbiamo aggiunto un sistema tecnologico a uno che già c’era. Siamo così costretti, giorno dopo giorno, a continui interventi di miglioramento. L’alternativa è buttare via tutto e ricominciare da capo, ma se faccio l’analisi costi benefici non posso che cercare di mettere a posto ciò che non funziona”.
Parliamo di operatori: molti puntano il dito sulla loro preparazione e sulla mancanza di esperienza specifica.
“Le emergenze sono di varia natura e non solo sanitarie. La scelta di un operatore laico è stata fatta a monte, dal ministero degli Interni. Stiamo facendo passi avanti, tanto è vero che i tempi di risposta sono calati, mentre sui tempi di intervento dobbiamo migliorare. Abbiamo aumentato il personale in dotazione e stiamo cercando di migliorare l’addestramento, ben sapendo che l’esperienza gioca un ruolo importante. C’è però da tenere conto anche di cosa avviene dopo che la chiamata viene smistata, ovvero del sistema che interviene sull’emergenza. Questo è un’altra delle questioni che stiamo analizzando per capire come intervenire. Dobbiamo capire se sia meglio distribuire sul territorio più ambulanze o se rafforzare il sistema dell’elisoccorso sulle 24 ore, grazie al maggiore numero di eliporti. Non esiste la bacchetta magica. Non posso e non voglio buttare via tutto, lasciando la gente senza risposte. Le polemiche costruite ad arte di certo non aiutano”.
La dotazione tecnologica è un altro problema, a partire dalla geo localizzazione degli interventi.
“La dotazione tecnologica è il problema. Abbiamo individuato le soluzioni, ma ci vuole del tempo per applicarle e armonizzare il sistema. Ci vorrà qualche mese e sicuramente il tema della geo localizzazione è centrale in una regione con un territorio complesso come il nostro”.