Stavolta, sembra proprio che la giunta Fontanini sia stata colta con le mani nella marmellata. Il misfatto è stato denunciato da un consigliere comunale di minoranza. Che, all’ultima seduta del Consiglio Comunale, ha tentato – invano – d’impedire che l’assemblea approvasse una curiosa disposizione contenuta nel nuovo regolamento per l’applicazione dell’imposta unica comunale (TARI – IMU – TASI). Ci riferiamo al regime di esenzioni stabilito all’art. 28 (“Esclusioni per inidoneità a produrre i rifiuti”), in base al quale non pagheranno il tributo in questione tutti i “locali” che sono “adibiti in via permanente al culto di confessioni religiose che, oltre a quella cattolica, sia(no) ammess(e) dallo Stato italiano sulla base di intese”.
Traducendo per i profani, l’esenzione dalla tassa per i rifiuti varrà per i luoghi di culto di quelle religioni che hanno stipulato, ex art. 8 della Costituzione, un’intesa con lo Stato, formula con cui la Carta fondamentale indica lo strumento pattizio – di cui il Concordato con la Chiesa Cattolica è il prototipo – chiamato a regolamentare i rapporti tra la Repubblica Italiana e le confessioni religiose. Per le religioni che non vantano un’intesa, la tassa sarebbe, invece, dovuta nella sua interezza. E quali mai saranno le fedi che non possiedono questo requisito? La risposta è semplice: se escludiamo quelle religioni che a Udine vantano pochi o nessun fedele (gli scintoisti, tanto per fare un esempio), il problema è circoscritto ad una sola. L’Islam.
Quella dell’intesa tra Stato e Islam è una questione annosa e delicata. Tutti i governi succedutisi a Roma negli ultimi vent’anni hanno cercato di coinvolgere i musulmani nel tentativo di negoziare un’intesa. Scontrandosi con un problema insormontabile: l’intrinseca pluralità dell’Islam. Che non è una fede monolitica, ma un arcipelago di comunità delle più svariate provenienze che aderiscono a distinte tradizioni culturali e obbediscono a diverse autorità. Con il risultato di rendere impossibile, per i musulmani, parlare con una voce sola. Anche, se non soprattutto, nei rapporti con lo Stato. Che ha, quindi, dovuto arrendersi dinanzi all’incapacità delle tante realtà che compongono l’Islam italiano di fornire un’interlocuzione unica e univoca.
Può la mancata presenza di un’intesa tra Stato e Islam giustificare l’art. 28 del regolamento sulla Tari del Comune di Udine? La risposta, inequivocabile, è no. Come rileva l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, quell’articolo viola marchianamente la nostra Costituzione. E in ben tre punti: all’art. 3, che sancisce il principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge “senza distinzione di religione”; all’art. 8, comma 1, secondo cui “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”; e, infine, all’art. 20, il quale stabilisce che “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.
Vi è più di una ragione, dunque, per ritenere che il Consiglio Comunale di Udine sia incorso in un abuso. Mosso, se ne desume, dalla volontà di colpire e penalizzare una minoranza religiosa verso cui non nutre particolari simpatie. Nessun esponente della giunta Fontanini ha mai messo piede nelle tre moschee presenti a Udine, nonostante l’invito formulato a mezzo stampa l’estate scorsa da Mohammed Assani, portavoce del centro islamico di via Marano Lagunare, il più grande della città. Possono, il primo cittadino e i suoi collaboratori, permettersi di snobbare una fetta di comunità tutt’altro che insignificante?
Oltre al danno di un atteggiamento di chiusura, i musulmani del capoluogo friulano devono subire ora la beffa di un regolamento che li prende di mira, negando loro un diritto concesso invece a gruppi meno “pericolosi”. Povera Udine.