Il numero dei parlamentari è funzionale al modello di Stato e alle competenze assegnate alle Camere, per questo un loro taglio, come propone il referendum del 20 e 21 settembre, senza ripensare prima tutto il contesto porterà soltanto danni. È l’analisi tecnica fatta dalla costituzionalista Elena D’Orlando, direttrice del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università del Friuli.
Partiamo dal presupposto su cui si basa il referendum: in Italia i parlamentari sono davvero troppi?
“La domanda, così posta, non ha molto senso: non esiste nel diritto costituzionale comparato un numero perfetto di parlamentari. Non ha senso discutere di numeri se non si ragiona contestualmente di forma di Stato e di forma di governo: la composizione delle Camere è infatti funzionale a uno schema organizzativo più ampio e complesso. Modificare i numeri senza modificare struttura del Parlamento e prerogative delle Camere è una decisione per certi aspetti inutile, per altri addirittura dannosa. Inutile perché non produce alcun effetto positivo né in termini di maggiore efficienza, poiché il Parlamento potrebbe lavorare meglio se le Camere avessero funzioni differenti e non fossero l’una il duplicato dell’altra, qui i numeri non c’entrano nulla; né sul piano della riduzione dei costi, dal momento che il tanto declamato risparmio sarebbe irrisorio (0,007% della spesa pubblica italiana) e, comunque, da costituzionalista sottolineo che non si modifica la Costituzione per risparmiare… non è la Costituzione che ha fatto lievitare il debito pubblico, ma il modo in cui la politica ha male interpretato, nel corso dei decenni, il suo ruolo. Dannosa, infine, perché provocherebbe delle distorsioni rilevanti sul piano della rappresentanza”.
Quali sarebbero queste distorsioni e che effetti avrebbero sulla nostra Regione?
“Innanzitutto la riduzione del numero degli eletti, in variazione percentuale, è simile ma non uguale per tutte le Regioni, alcune delle quali perderanno oltre il 50% degli attuali parlamentari. Il Friuli-Venezia Giulia è una delle Regioni più penalizzate dalla riforma, in termini di riduzione della rappresentanza: alla Camera si passerà da 13 a 8 deputati cioè un taglio del 38,5%, mentre al Senato da 7 a 4 senatori cioè meno 43 per cento.
Inoltre, con l’attuale legge elettorale Rosatellum i collegi diventeranno enormi, soprattutto al Senato (da 800.000 a 1 milione di abitanti in alcuni casi), con l’effetto che, se il referendum avrà esito positivo, nelle Regioni più piccole saranno eletti solo senatori del primo partito. In Friuli-Venezia Giulia, per esempio, 3 senatori su 4 verrebbero assegnati alla coalizione vincente e il quarto alla coalizione (o partito) miglior perdente, con la conseguenza che potrebbe accadere che una parte non irrilevante dei voti espressi, sino quasi a un quarto, siano letteralmente ‘buttati’ e gli elettori restino privi di rappresentanza”.
Una riforma costituzionale ulteriore potrebbe aggiustare le cose? Magari una riforma che si ispiri ad altri Paesi europei che tutelano la rappresentanza delle identità territoriali.
“Questa argomentazione non fa altro che confermare l’irragionevolezza della riforma che si sottopone agli elettori e dimostra che la questione della riduzione di parlamentari poteva e doveva invece essere affrontata contestualizzandola nell’ambito del più ampio problema dell’ammodernamento della forma di Stato e, in particolare, del superamento del bicameralismo paritario. Siamo ancora l’unico Paese europeo con due Camere che hanno esattamente le stesse funzioni. Si poteva puntare, per esempio, a un Senato delle Regioni con pochi e qualificati membri, come accade negli Stati federali, in cui la cosiddetta Camera alta rappresenta le identità territoriali. Se consideriamo il modello tedesco, il Bundesrat è composto da membri designati dai Governi regionali, soggetti a vincolo di mandato, in numero proporzionale alla popolazione. Ed è questo il punto: come dicevo all’inizio, il numero dei parlamentari è la risultante di scelte che stanno a monte, che riguardano la forma di Stato e di governo, non il contrario! Se in futuro si decidesse davvero di rendere il Senato una Camera delle Regioni, allora il numero dei senatori sarebbe determinato da questa scelta e sarebbe quindi da rivedere di nuovo…
In altre parole, proporre la mera riduzione del numero dei parlamentari senza affrontare il problema strutturale del bicameralismo e la questione della rappresentanza degli enti territoriali, è solo conseguenza dell’incapacità di pensare e fare Politica, che, ironicamente, è l’accusa da cui ha preso corpo l’idea della riduzione del numero dei parlamentari. E su questo punto, per inciso, c’è una sostanziale convergenza tra i partiti di maggioranza e di opposizione: i distinguo sono sostanzialmente ininfluenti”.
E la promessa di una riforma della legge elettorale, per completare il disegno riformatore, che valore ha?
“Il tema della legge elettorale non è banale, posto che il vero problema non sta infatti nel numero, ma nel modo in cui i parlamentari vengono eletti. L’elettore oggi non sceglie, perché deputati e senatori sono sostanzialmente nominati dai partiti e, come tali, ‘coerentemente’ si comportano. Tuttavia, dopo decenni di discussioni andate a vuoto, penso che nessuno più creda in una legge elettorale che si ponga come obiettivo quello di ripristinare un rapporto diretto e ‘leale’ tra elettori ed eletti. La riprova è che il dibattito tra i partiti si orienta, quasi all’unanimità, verso l’adozione di un sistema proporzionale che mantenga sostanzialmente il diritto di nomina dei candidati in capo alle segreterie di partito, mentre le dispute si concentrano sulla percentuale minima che un partito deve raggiungere per essere rappresentato in parlamento, cioè la cosiddetta soglia di sbarramento. Con l’aggravante che si ritornerebbe a una formula elettorale proporzionale in presenza di un sistema partitico molto frammentato e molto meno identitario, in termini di cultura politica, rispetto alla prima Repubblica. Ecco il risultato più probabile: estrema instabilità di coalizioni e governi incapaci di qualsiasi progettualità e questo proprio quando l’Europa ci regala l’occasione del Recovery Fund.
In ogni caso, la legge elettorale non sarebbe da sola sufficiente a garantire dalle distorsioni provocate dalla riduzione del numero di deputati e senatori. Basti pensare, per esempio, alla necessità di modificare i regolamenti parlamentari per fare in modo che le commissioni – che sono il fulcro del procedimento di approvazione delle leggi – possano funzionare.
E comunque, è bene esplicitarlo anche se mi parrebbe evidente, non è la legge elettorale che garantirà ciò che oggi diffusamente manca: la qualità e l’autorevolezza dei membri del Parlamento, perché è questo il presupposto per il buon funzionamento delle nostre istituzioni”.
È vero che tra qualche anno nelle moderne democrazie i parlamenti non saranno più necessari, come annunciano i grillini?
“Personalmente sono contraria all’idea dell’eliminazione dei Parlamenti, credo fermamente nella democrazia rappresentativa che è il cuore del concetto di democrazia liberale. D’altro canto, mi pare che la stessa fede assoluta dei grillini nel surrogato tecnologico vacilli, visto che il sondaggio sulle alleanze nelle prossime regionali è stato poi disatteso nella gran parte dei casi… . Mi permetto di ricordare che, a differenza di quanto previsto per il referendum abrogativo, per quello costituzionale non è richiesto un numero minimo di votanti affinché la consultazione popolare produca i suoi effetti; quindi, qualunque sia l’affluenza alle urne, il risultato sarà determinato dalla maggioranza dei voti espressi da chi andrà a votare. È un test di maturità per il corpo elettorale, se vuole dare un contributo alla qualità della politica”.