Anche in Italia si sono accesi i riflettori sul vaiolo delle scimmie. Sono saliti a tre i casi italiani accertati. I due nuovi malti sono collegati al primo contagiato, quindi si tratta di persone che da questo paziente, oggi in isolamento allo Spallanzani, sono stati infettati dopo il suo ritorno dal viaggio alle Canarie, come ha confermato il Servizio regionale per la sorveglianza delle malattie infettive del Lazio.
Fulvio Zorzut, medico epidemiologo specialista in Igiene e Medicina Preventiva, vuole rassicurare la popolazione. “Dal 2003 è la seconda volta che accade, quindi niente allarmismi! Il vaiolo delle scimmie è una rara malattia virale che si trova per lo più nei paesi tropicali dell’Africa centrale e occidentale. Viene chiamata così perché fu scoperta nelle scimmie da laboratorio nel 1958. In seguito, studi su animali in Africa hanno riscontrato evidenze virologiche d’infezione in scoiattoli, che si ritiene svolgano un ruolo importante come ospiti naturali della malattia”.
“Studi di laboratorio hanno, inoltre, dimostrato che l’infezione da vaiolo delle scimmie può verificarsi anche in ratti, topi e conigli. Attualmente, sono stati segnalati alcuni casi in Portogallo, Spagna e Regno Unito, oltre a quello italiano. L’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ha attivato un sistema di allerta a livello europeo al quale partecipa anche l’Istituto Superiore di Sanità”, continua Zorzut. “Inoltre, l’Iss ha contattato le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmesse al fine di monitorare la situazione nazionale”.
“Ai primi di giugno del 2003, erano già stati diagnosticati diversi casi di vaiolo delle scimmie in persone residenti negli Stati Uniti che si erano ammalate dopo essere state a contatto con i cani delle praterie (Prairie dog). Era la prima volta che si riscontravano evidenze d’infezione da questo virus negli Usa, ma avevano riguardato solo contatti con animali malati e non si è verificata una catena di trasmissione umana. Quella attuale è la seconda volta in cui si manifestano casi di Monkeypox nell’emisfero Nord del pianeta”.
“I Centri americani hanno predisposto numerosi documenti di raccomandazioni per gli operatori sanitari, per i veterinari e per i proprietari di animali esotici infetti. Il commercio planetario di animali cosiddetti esotici può costituire elemento di diffusione su scala globale. Gli uomini possono contrarre il vaiolo delle scimmie attraverso un morso o il contatto diretto con sangue, liquidi organici o lesioni di un animale infetto. La malattia potrebbe anche diffondersi da uomo a uomo, ma è molto meno contagiosa del vaiolo umano”, continua l’epidemiologo.
“Si ritiene che il virus si trasmetta per via orale durante il contatto diretto o un contatto faccia a faccia prolungato o con i liquidi organici di una persona infetta e con oggetti contaminati dal virus, quali biancheria o abbigliamento. Anche i rapporti sessuali possono essere veicolo di contagio. Negli esseri umani, le caratteristiche cliniche del vaiolo delle scimmie sono simili a quelle del vaiolo. Circa 12 giorni dopo l’esposizione, la malattia si manifesta con febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena, linfonodi gonfi, malessere generale, quindi compare una eruzione cutanea pustolare. La malattia generalmente dura da due a quattro settimane e quindi si risolve”.
“Devono essere aumentati i controlli sull’importazione e il commercio di roditori africani, come i roditori giganti del Gambia e dei cani della prateria, roditori originari degli Stati Uniti, ritenuti fonte principale della malattia. È possibile che le persone che non sono state vaccinate contro il vaiolo (vaccinazione abolita in Italia nel 1981) siano a maggior rischio di infezione con il Monkeypox per l’assenza di anticorpi che, per la similitudine con il virus del vaiolo, possono essere efficaci a contrastare anche questa virosi. Non esiste un trattamento specifico per il vaiolo delle scimmie. Si stanno anche valutando farmaci antivirali, come il Cidofovir”, conclude Zorzut.