“Guerra alla guerra!” è il titolo del libro di Ugo De Grandis, nel quale il ricercatore ha ricostruito con un dettaglio senza precedenti il cosiddetto “Processo di Pradamano”, il più grande procedimento di giustizia militare italiana del 1° conflitto mondiale, grazie a un’approfondita ricerca d’archivio che ha portato alla luce documenti per la maggior parte inediti, arricchita dai memoriali stesi da alcuni degli imputati e conservati dai familiari.
“Guerra alla guerra!” era la parola d’ordine lanciata dal Congresso internazionale socialista tenuto a Basilea nel 1912, quando già si percepivano i prodromi della catastrofe che si sarebbe abbattuta sull’Europa due anni più tardi.
Quella parola trovò facile eco in quanti vi si opponevano e, tra i tanti, fu recepita da Pietro Pietrobelli, giovane militante socialista di Schio, inquadrato nel 223° Rgt. Fanteria, che la ribadì in una poesia composta durante il ricovero in un ospedale da campo nell’inverno 1916-1917, intitolata “Guerra e pace”.
Rientrato al Reggimento, sulle pendici del Monte Nero, egli intrecciò, assieme al messinese Pizzuto, una fitta corrispondenza con numerosi militanti socialisti per promuovere la propaganda a favore della cessazione della guerra.
Grazie alla censura della corrispondenza, che era stata inasprita dopo la diffusione delle prime notizie sulla rivoluzione scoppiata in Russia, una lettera fu intercettata : la corrispondenza sequestrata nel corso dei primi arresti permise di ricostruire la fitta rete di rapporti che erano stati intrecciati da nord a sud e da est a ovest.
Molti militanti di Schio erano noti alle forze dell’ordine per avere partecipato, negli anni precedenti, alle proteste contro la guerra italo-turca e contro l’intervento dell’Italia nella guerra in corso.
Le lettere sequestrate misero infine gli investigatori sulle tracce di un gruppo di socialisti cremonesi e di una quindicina di militanti siciliani.
Le indagini, condussero all’arresto di 52 persone: in 43 furono sottoposte a giudizio: in particolare 35 furono deferite al Tribunale Militare di Guerra, a Pradamano , nella Villa Giacomelli.
Il processo voluto da Cadorna, intendeva impartire un duro segnale alle truppe e alla popolazione, sempre più amareggiate e demotivate dalla durezza del conflitto e dalle restrizioni alimentari, come provavano le proteste e gli scioperi, avvenuti nei primi mesi dell’anno in molte località, e le numerose sommosse al fronte e nelle immediate retrovie, che erano state represse con una sequela di fucilazioni sommarie e decimazioni. L’episodio più grave, nel quale erano stati fucilati 28 soldati, era avvenuto a Santa Maria La Longa a metà luglio 1917, una settimana prima dell’inizio del processo.
Tradotti in carceri militari e civili tristemente noti, come Civitavecchia, Gaeta, Forte Ratti, e nel campo di concentramento di Padula (SA), i condannati poterono tornare in libertà nella seconda metà del 1919 grazie a un provvedimento di amnistia per reati politici, ripresero l’attività politica.
Dopo la presa di potere del fascismo i militanti processati a Pradamano subirono una sequela interminabile di restrizioni e di persecuzioni, culminate per i più in lunghi anni di carcere o di confino, mentre, allo scoppio della 2a guerra mondiale, molti di loro furono internati in località isolate quali “elementi pericolosi”, Rimessi in libertà dopo la caduta del fascismo, parteciparono attivamente alla Resistenza.