Prendere due piccioni con una fava. Spesso è difficile trovare, in un solo colpo, la soluzione a due problemi, eppure una recente ricerca scientifica finanziata dalla Regione Friuli Venezia Giulia e svolta sul territorio regionale, sembra aver trovato un tassello importante nella lotta a due problemi più che mai attuali: la perdita di biodiversità (con particolare riferimento alla flora) e l’invasione di specie esotiche, fenomeni incoraggiati dall’aumento delle temperature, dovuto al cambiamento climatico e dall’ampio utilizzo del suolo da parte dell’uomo.
Secondo la ricerca, pubblicata su Nature, “la presenza di una piccola percentuale (intorno al 20%) di terreno agricolo a uso estensivo può ridurre il numero di piante esotiche e promuovere la diversità della vegetazione autoctona”.
I dati raccolti in Fvg rivelano che, rispetto alle specie nella loro totalità, quelle esotiche rappresentano il 15%, dunque in linea con i dati nazionali. Per la maggior parte si tratta di specie esotiche casuali e naturalizzate, vale a dire che non hanno ancora raggiunto lo stadio successivo di piante invasive a tutti gli effetti (l’11% delle specie esotiche registrate).
A eccezione della robinia, si tratta per lo più piante erbacee annuali, tra cui possiamo riconoscere anche gli azzurri e ormai familiari Occhi della Madonna (Veronica persica, originaria dell’Asia sud-occidentale).
Pur evidenziando come le specie invasive siano responsabili dell’alterazione degli equilibri negli ecosistemi in cui subentrano, nonché della percezione del paesaggio, lo studio ci ricorda che uno dei fattori principali di questi cambiamenti contro cui cerchiamo di opporci è, ancora una volta, l’uomo stesso. Anzi, la gestione antropica del terreno risulta essere addirittura più influente rispetto al clima nel promuovere il processo di invasione. Non è un caso che il più alto tasso di specie esotiche si riscontri nella pianura, in prossimità e nei centri urbani, mentre nelle restanti zone – come Prealpi e aerea carsica – siano le specie autoctone ad avere la meglio.
“L’intensificazione dell’agricoltura – riporta l’articolo di Nature – innesca un drammatico declino della ricchezza della flora, senza distinzione tra autoctona e non” e ad ora le piccole macchie di habitat naturale rimaste, sparse tra un campo intensivo e l’altro, rimangono le ultime isole di biodiversità.
“In medio stat virtus”, dunque. Un uso anche moderato del suolo agricolo estensivo, unito magari ad una pianificazione intelligente del suolo urbano, è necessario per raggiungere maggiore equilibrio ed eterogeneità di paesaggio. Per frenare quei processi che sembrano stendere un tappeto rosso ai cambiamenti climatici già in atto, di cui l’invasione della flora esotica non è che uno degli effetti.
[Articolo Citato: Pellegrini, E., Buccheri, M., Martini, F. et al. Agricultural land use curbs exotic invasion but sustains native plant diversity at intermediate levels. Sci Rep 11, 8385 (2021). https://doi.org/10.1038/s41598-021-87806-7]