Sono tante le storie di giovani che decidono di proseguire nel loro cammino di studio e di lavoro all’estero. Avventure quotidiane, normali ma allo stesso tempo straordinarie, che possono regalare sorprese, delusioni, ma anche tanto desiderio di continuare a provarci e a realizzare se stessi in un percorso, va detto, non sempre facilissimo. E capita anche ad un cronista di provincia di incrociare concittadini, in questo caso di San Pier d’Isonzo, che fieramente riportano la storia di chi non solo ce l’ha fatta ma che sta anche portando avanti i propri sogni, e che sono rimasti incantati dal clima anglosassone semplicemente prendendo parte ad una cerimonia universitaria. Una storia che molti friulani e friulane, ma non solo, giovani da tutta la regione, vivono. Ma è proprio la ‘normalità’ a rendere speciali ed uniche le storie di ognuno e ognuna di loro.
Quella di oggi è l’avventura di Alessandra Valencic di San Pier d’Isonzo, intervistata via mail ma che ugualmente ha saputo trasmettere entusiasmo e giovanilità, termini spesso abusati e scontati ma che, nella realtà, non lo sono. Ecco perché ci sembra corretto far parlare direttamente lei.
“Io in realtà sono nata a Trieste, dove ho vissuto fino all’età di sei anni quando i miei genitori hanno deciso di abbandonare la città per trasferirsi nella campagna. Così inizia la mia avventura a San Piero, paese di adozione che mi (ci) ha accolto a braccia aperte. Non credo di essere mai uscita dalla Bisiacaria fino all’università, dove il ‘conoscere il mondo’ è diventata una ragione di vita.
Ho studiato Psicologia all’Università di Padova, dove in realtà poco ho studiato ma ho vissuto a pieno l’esperienza del ‘fuori sede’. Ho incontrato gente da tutto il mondo, Portogallo, Spagna, Francia, Inghilterra, Belgio, Albania, Croazia, Marocco, Eritrea, Nigeria, Cina, Vietnam e anche gente che proveniva da tutto il resto d’Italia, che ovviamente non sapeva dove la Bisiacaria fosse (ma li ho istruiti). Con molte delle persone di quella prima esperienza all’Università sono ancora in contatto, tanto che a settembre ho partecipato al mio primo matrimonio portoghese!
Ma Padova è una città piccola, e dopo la laurea ho sentito il bisogno di spostarmi di nuovo.
Ho fatto la laurea magistrale a Torino, studiando psicologia criminale. Più e più volte a scuola ci hanno ripetuto che la nostra era una laurea inutile e che a ben poco serviva fare il criminologo, essendo una professione (ai tempi) senza un albo e quindi di serie B. Una brutta esperienza con la professoressa della tesi sommata ai pochi esami che davvero parlavano di crimine e derivati mi hanno portato a non credere più che quello era quello che avrei fatto da grande.
Mentre studiavo a Torino lavoravo per un’agenzia di fundraising di Sacile che mi ha dato l’opportunità di collaborare con le più grandi ONG del mondo: Unicef, Medici senza Frontiere, Save the Children e La Lega del Filo d’oro. Ho iniziato come fundraiser per poi fare una rapida scalata al successo passando da Team Leader a Coordinatore nazionale fino a farmi affidare una campagna residenziale tutta mia a Bologna.
Un anno di vita a Bologna mi è servito per capire cosa non volevo fare: stare davanti ad un computer. Organizzare una campagna residenziale di raccolta fondi è sicuramente stimolante, ma devo dire che più passavano i giorni più la mia voglia di lavorare in ambito criminale si rifaceva viva e la mia necessità di lavorare per la gente tra la gente scalpitava per uscire. Ho imparato a comprendere quando una situazione ti ha dato tutto e l’unica cosa che puoi fare è ringraziare per gli insegnamenti e cercare nuove sfide.
Nel giro di un mese ero a Londra. Improvvisamente il bisogno di imparare l’inglese e il bisogno di conoscere il mondo sono divenuti necessità che non potevo più posporre.
Mio fratello piccolo già abitava a Londra, quindi diciamo che non è stato proprio un salto nel vuoto, ma posso garantirti che la prima volta che ho sentito parlare un inglese mi sono chiesta se in realtà non stesse parlando turco! Per fortuna però non sono una persona che si spaventa facilmente, e per tentativi ed errori mi facevo capire e iniziavo a costruire la mia conoscenza della lingua. Sicuramente mi ha aiutato moltissimo il mio lavoro di customer service nel coffee shop di mio fratello Gianluca, dove grazie alle relazioni face to face con i clienti ho imparato come sostenere conversazioni con chiunque.
Sono rimasta basita sin da subito da quanto per gli inglesi di Londra va bene se non parli l’inglese, tutti lo hanno imparato qui buttandosi in conversazioni casuali con sconosciuti, e tutti noi ricordiamo i primi mesi dove il parlare al telefono in inglese era l’incubo più grande! La comprensione e lo sprono a migliorare che ho ricevuto dai miei clienti è forse stato uno dei motivi che mi hanno fatto venire sempre più voglia di imparare. Dopo un anno e mezzo però dove (Pensavo) ormai parlavo un inglese decente fare la barista non mi soddisfaceva più, avevo bisogno di nuovo di nuove sfide. Volevo provare a fare un lavoro in ambito criminologico, ma mi resi conto subito che la mia conoscenza era troppo limitata. Allora ho pensato di ampliarla, provando a fare qui un Master all’University of Roehampton, MA Global Crimionlogy. Un po’ a caso, un po’ per fortuna ho trovato la mia strada. Questo Master è stato il mio ritorno alla vita, il recupero di sogni ormai chiusi in un cassetto, l’aria che avevo bisogno di respirare.
L’università qui è molto diversa che in Italia, ma sono convinta che l’ho apprezzata molto di più proprio perchè ho avuto la possibilità di confrontarla con quella italiana.
Non posso dire che l’Università italiana sia un completo fallimento, sicuramente il dover studiare cinque o sei libri di trecento pagine per ogni esame mi ha permesso di crearmi un metodo di studio che mi ha assolutamente facilitato qui a Londra, e ovviamente il riuscire a leggere molto veloce (per ovvi motivi) è un qualcosa che devo a UniPd, ma la sensazione di essere niente altro che un numero, la sensazione di sconfitta che pervadeva i miei atenei sono qualcosa che non rimpiango.
Qui il primo giorno il capo del dipartimento si è presentato dicendo che ogni nostro fallimento non è niente di più che un loro fallimento nel non aver capito di cosa avevamo bisogno per superare un esame. WOW! Ho pensato fossero tutti matti.
Ho studiato solo materie relative alla Global Criminology, nessun esame che esulava dal main focus del corso. I miei professori sono persone preparatissime, esperti della loro materia, appassionati di quello che insegnano, persone che sono costantemente in cerca di opportunità per crescere come professionisti e come persone, ma la prima cosa che mi ha colpito è che sono giovani che credono nei giovani. il mio professore più vecchio penso aveva 45 anni. Il mio più giovane professore di Padova forse ne aveva 60. Sono persone che vogliono che li chiami per nome, perché alla fine eravamo colleghi, nessun ‘Sir’ ‘Madame’ ‘Professor’, ma solo John, Amanda e Jennifer.
Ti chiedono come stai, se hai compreso tutto della lezione, se c’è qualcosa che possono fare per aiutarti, ti invitano ai loro colloqui per chiedere chiarimenti, spendono con te extra ore per dissolvere i tuoi dubbi o per approfondire un argomento che ti interessa particolarmente. Ma soprattutto vogliono sapere cosa pensi riguardo ad un certo argomento. Cioè cosa pensi tu. Assurdo. Si chiama critical thinking la capacità di commentare, spesso in modo critico, un’idea, un fatto, un evento, una dichiarazione, una posizione. Io ho dovuto comprare un libro che mi spiegasse cosa il critical thinking fosse.
Ricordo di un esame a Padova dove ho scritto tutto l’esatto opposto di quello che pensavo perché sapevo che Professore era di quella idea. L’unico 30 della mia triennale.
Qui, se il tuo pensiero è supportato da evidenze scientifiche e dalla letteratura puoi dire quello che vuoi. Posso essere fiera di dire che alla fine ho capito cosa critical thinking sia, tanto che ho vinto un premio per la miglior tesi di tutte le scienze sociali in quanto critica e di sfida alla moderna manipolazione dell’opinione pubblica.
Ora che so cosa posso fare ma soprattutto che ho ritrovato la fiducia nei miei sogni, posso dirti che niente può fermarmi!”.
Tra le varie curiosità, anche quella del futuro, delle opinioni dei giovani in una capitale europea quale Londra e, perché no, delle difficoltà che una giovane può trovare nel recarsi a Londra per studio e/o per lavoro.
“Qua si dice ‘When a man is tired of London, he is tired of life‘. Londra è un posto magnifico, pieno di gente provenienti da qualsiasi parte nel mondo, da qualsiasi estrazione sociale, con infinite storie di vita, ma una cosa ci accomuna tutti: la voglia di successo, il bisogno di realizzare i propri sogni, la grinta per affrontare le difficoltà, la testa dura di cadere e rialzarsi. Chi non ce la fa molte volte dà la colpa alla città, alla politica, agli inglesi, a un sistema che ti soffoca, agli affitti troppo alti, ai caffè troppo costosi, alla pizza a 15£, e così via. Ma quello che a me ha insegnato è che non importa quanto perso e solo ti senti, se vuoi davvero raggiungere qualcosa devi lavorare sodo, fare delle rinunce, avere molta disciplina, e prima o poi ci arrivi.
Io ho deciso da un giorno all’altro di fare un Master, ero persa nella routine del mio lavoro e non avevo un obiettivo specifico, il mio inglese era ok ma niente di speciale, sentivo che dovevo fare qualcosa di più ma non sapevo da che parte cominciare. Ho iniziato a chiedere alle mie università italiane i certificati di laurea con le specifiche degli esami sostenuti in lingua inglese, e quando sono arrivati.. beh.. l’ho presa a ridere perché poco altro potevo fare! Documenti ufficiali rilasciati da Università (direi importanti) scritti in un inglese pressoché maccheronico e pieni di errori. E li ho deciso, devo prendere una laurea in inglese, in modo da perfezionare la mia conoscenza dell’inglese, sperando di trovare un ambiente stimolante, dove il networking magari mi aiuterà a trovare la mia strada.
Ho visitato più di un’università prima di scegliere Roehampton. Tutti i corsi erano interessanti, ma non specifici come lo stavo cercando io!
In Italia avevo provato molte volte ad entrare in un carcere con tirocini, ricerche per la tesi ecc, ma l’accesso mi è sempre stato negato per uno o per l’altro motivo. Il primo giorno di Master ci hanno chiesto chi volesse partecipare ad un progetto per fare il supervisore del corso ‘understanding Justice’ che si sarebbe tenuto dentro il carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dove gli studenti del primo anno di criminologia avrebbero fatto lezione all’interno del penitenziario insieme a una classe di detenuti, e noi del master potevamo fare i supervisori e facilitatori del corso. Io ero basita, entusiasta, di nuovo speranzosa e tutto mi sembrava surreale ma fantastico! Ovviamente io ho partecipato al progetto ed è stato istruttivo, gratificante, mi ha aperto la mente e mi ha finalmente permesso di entrare in contatto con una realtà che fino a quel momento mi era stata negata.
Esami scritti per come li intendiamo noi ne abbiamo fatti due, entrambi composti da domande a risposta libera, ma… le domande ti vengono date due settimane prima. Quando ci è stato comunicato ciò, ovviamente io ho dovuto chiedere chiarimenti. In che senso ci date le domande? Io arrivo là e so già le domande? Non devo studiare cinque libri? La risposta non ha potuto che farmi mettere in discussione il mio concetto di istruzione: Devi sapere cosa devi studiare, cosi arrivi preparata, apprendi effettivamente, e puoi fare della ricerca e prepararti e hai tempo di fare domande se qualcosa non è chiaro. Non è forse questo lo scopo della scuola?
Il resto degli ‘esami’ prevede un’intensa fase di ricerca e analisi di articoli e materiale prevalentemente online che deve portare alla produzione di un saggio (essay) dove lo studente analizza criticamente lo stato delle cose e propone (se possibile) futuri sviluppi, il tutto supportato da evidenze scientifiche. La ricerca online non era un grande ostacolo, noi millenial siamo bravi col computer, ma nonostante ciò il primo giorno di ogni corso ti veniva forniti indirizzi web dove indirizzare la tua ricerca in modo da semplificarti la ricerca e renderla il più efficace possibile.
Non so se sono riuscita ad esprimere il mio stupore e ammirazione per tutti i miei professori che in un modo o nell’altro hanno contribuito al mio riscoprire il piacere e la voglia di studiare, ma ora la mia sete di conoscenza sembra non smettere di esistere!
Finita la scuola ho preso un po’ di tempo per capire come indirizzare tutte queste mie conoscenze nella ricerca di un lavoro. Qua il problema è l’opposto dell’Italia: ci sono talmente tanti tipi di lavori, talmente tante offerte che la cosa difficile è capire cosa vuoi fare, in modo da non prendere la prima offerta pur di lavorare, ma di scegliere qualcosa che possa farti svegliare ogni mattina con la voglia di andare a lavorare. Io non sono sicura di aver ancora trovato la mia strada, ma sto vagliando le offerte di lavoro che mi arrivano, riflettendo attentamente soprattutto su cosa posso imparare in una determinata posizione e quando posso scalare la vetta di una organizzazione. Diciamo che il sogno (o progetto) è di iniziare a fare il detective con la Metropolitan Police, enorme organizzazione dove cercano persone ambiziose che vogliono fare carriera e arrivare lassù in cima, arrivando step by step a Scotland Yard 🙂 Ho fatto il colloquio qualche settimana fa… attualmente lavoro con un’organizzazione privata come Reduction Crime Officer, nel mentre continuo a fare i colloqui con la polizia e al momento ho passato 3 steps su 4…”