A cinquant’anni dal patto di gemellaggio tra Ronchi dei Legionari e Wagna la comunità ronchese si è stretta, ancora una volta, attorno ai propri caduti di cento anni fa. E lo ha fatto con un pellegrinaggio fino ai luoghi che video, durante il primo conflitto mondiale, migliaia di profughi fuggire dal litorale per rifugiarsi nei campi appositamente costruiti dall’impero per ospitarli. Una cerimonia semplice, dalle poche parole ma dall’enorme significato simbolico ed emozionale per i tanti che hanno deciso di prender parte alla commemorazione.
Sabato 27 un nutrito gruppo non solo di rappresentati delle istituzioni e sodalizi ronchesi ma anche semplici cittadini si sono diretti verso la regione austriaca della Stiria con l’unico obiettivo di non dimenticare quanti sono morti di fame e di miseria tra le nere baracche di Wagna.
“Si dice che nel primo anno di arrivo dei profughi, in un campo profughi che contava circa 17mila utenti, furono celebrati ben 700 funerali” sottolinea il primo cittadino, Livio Vecchiet. “In ogni caso la vita continuava e tanti nostri concittadini vennero alla luce in questo luogo, difficile, duro, dove al di fuori esistevano uomini che, pur possedendo poco, alle volte aiutavano i nostri concittadini magari donando una patata per sfamarsi. Nella miseria esisteva una grande solidarietà, valore che oggi nella nostra società sta perdendo il suo senso e questo è un segnale preoccupante per il futuro della nostra società”.
“C’è un filo storico che lega in maniera indiscutibile le due comunità”, sono ancora le parole di Vecchiet. “Tutto nacque qui nel contesto drammatico di quegli anni, da una storia drammatica ad una grande amicizia che deve essere conservata, custodita, e assieme dobbiamo lavorare per ampliarla e affidarla ai nostri giovani di cui alcuni sono qui presenti tra di noi”.
“Cento anni fa, probabilmente in queste ore, la nostra gente – ospite del campo di Wagna – aveva cominciato i preparativi per il ritorno alle loro case. Dopo gli anni dell’esulanza – anni duri e difficili per le condizioni di vita, la miseria e la guerra – si profilavano le prime notizie della firma imminente dell’armistizio. Avranno raccolto con gioia in poche borse tutto quello che avevano e forse saranno andati al cimitero per salutare i loro morti, fra i quali tantissimi bambini. Poi il treno e, finalmente, il ritorno”, racconta il parroco, don Renzo Boscarol. “Possiamo immaginare i loro sentimenti e anche le loro attese. Trovarono, invece, paesi distrutti, case ridotte in macerie. Perso tutto. Saranno passati dalla gioia del ritorno alle lacrime della disperazione, comprendendo di colpo che il futuro sarebbe stato spaventoso e che sarebbe durato nei lunghi anni della ricostruzione insieme ai cambiamenti culturali, politici e sociali. L’orizzonte in Europa era segnato, infine, dai primi casi della Spagnola, malattia che mieterà ancora morti e provocherà altro dolore e lutti. A cento anni di distanza, siamo venuti qui prima di tutto per ringraziare ancora una volta la comunità di Wagna per quanto ha fatto per i nostri padri e genitori e, poi, per rivolgere un saluto ai morti che non hanno avuto la grazia del ritorno. Li pensiamo viventi, davanti a Dio e con noi. Sono tutti fratelli e sorelle di un unico mondo ricco delle nostre diversità di lingua, costumi, fede e cultura e chiedono a noi di vivere nella pace e nella concordia”.