C’è un luogo di fondamentale importanza a Dubai e non ha nulla a che vedere con gli sfavillanti e spesso discussi progetti urbanistico-architettonici. Si tratta del khor Dubai, una via di mezzo tra un fiume e una laguna che si allunga per alcuni chilometri in quello che un tempo era puro deserto.
Raggiungendolo dopo il bailamme di Deira, si prova una certa gioia, si torna a respirare.
Lo specchio d’acqua è un via vai di imbarcazioni che con il loro movimento sembrano far sospirare il corso d’acqua; un corso d’acqua storico che ha accompagnato Dubai fin dalla sua nascita. Sul lato meridionale si stabilirono, nel 1833, ottocento membri della famiglia Bani Yas dando il via alla dinastia Al Maktoum che regna da allora su Dubai. L’animo commerciale della città è sorto su queste acque.
Sulla sponda sud, a poca distanza dal quartiere Shindagha che fu roccaforte della famiglia Al Maktoum, uno sceicco visionario spinto dalla foga di far diventare Dubai una meta allettante per uomini d’affari, gettò le basi del successo. Maktoum bin Hasher, a inizio del ventesimo secolo, offrì lotti di terra a mercanti iraniani in fuga dall’inasprimento tributario imposto a casa loro.
Da allora, la popolazione iraniana, ha rappresentato un ingranaggio chiave nello sviluppo di questa metropoli nel deserto. Camminando lungo il fiume, ammaliati dalla visione di barconi di legno che sembrano usciti da una fotografia in bianco e nero di un libro di storia, ci si imbatte in eserciti di uomini mingherlini impegnati nel carico scarico merci. Il sole è violento, sebbene sia dicembre il mese più fresco, e il pensiero delle stesse operazioni svolte nei torridi mesi estivi fa impressione.
Mehdi, un iraniano di settant’anni con gli occhi neri circondati da occhiaie profonde che rendono il suo aspetto meno gioviale, ha voglia di raccontare le sue avventure in mare. Dalla sedia di legno posizionata ai piedi di un anfiteatro di scatoloni colmi di tessuti, elettrodomestici e pneumatici, pronti per essere caricati, ordina a un mozzo di portare del tè.
“Da quando ho quattordici anni vivo su questi splendidi barconi di legno; il mare e i porti iraniani di Bander Abbas, Chobahar, Bushehr sono casa mia, ci potrei andare a occhi chiusi”, dice in un inglese sgrammaticato ma fluente. Gli occhi fiammeggiano quando ricorda la tormenta al largo della costa iraniana in un anno che non ricorda ma in cui era forte come un leone. Tramonti, notti stellate, onde giganti, gente da tutto il mondo; Mehdi è un fiume in piena.
Lui c’era nel boom che seguì il dragaggio del fiume a inizio Anni ‘60, uno tra i primi investimenti strutturali voluti dalla dinastia Al Maktoum. Dopo l’era delle perle, menzionate già nel 1590 dal gioielliere viaggiatore alla corte della Serenissima, Gasparo Balbi, giunse l’epoca dei traffici illegali d’oro che da Dubai raggiungeva India e Pakistan che a quel tempo non ne consentivano l’importazione. Le infrastrutture per sviluppare il commercio divennero la carta vincente di Dubai, al dragaggio del canale, seguirono i porti, Rashid nel ‘66 e Jebel Ali nell’83. Il petrolio fu scoperto nel 1966 ed ebbe un notevole impatto su un’economia già frizzante. L’aumento dei prezzi del ’73 fece esplodere il budget a disposizione dei regnanti. Ma l’importanza dell’oro nero a Dubai non è mai stata determinante come ad Abu Dhabi; qui è il commercio che regna da sempre sovrano.
“Gli sceicchi di Dubai sono ambiziosi e senza ostacoli, fanno ciò che ritengono opportuno e raramente sbagliano, io l’ho vista crescere questa città e posso dire che vorrei gli Al Maktoum alla guida del mio amato Iran”. E pensare che la sua idea di Dubai non andava oltre il corso d’acqua e qualche strada adiacente.
“I grattacieli li vedo scintillare dal mare quando arriviamo di notte”. In una città orientata al futuro, l’alone storico di questo canale brulicante, ti riporta indietro negli anni e cosi, i faraonici progetti immobiliari rimangono entità distanti che galleggiano in una leggera e violacea foschia.