Il Danubio si allarga come una fisarmonica e la distanza che separa la Romania dalla Serbia, qui supera i sei chilometri, ma le ‘Porte di ferro’ con soli 160 metri di larghezza, incombono. Una gola profonda che in tempi passati rappresentava un incubo per chi navigava “Le Roi des fleuves d’Europe”, come Napoleone definì il Danubio. L’acqua pare attratta dallo stretto passaggio e da quelle rocce che si innalzano violente. Quel flusso sembra aver fretta di raggiungere la foce e il Mar Nero.
Sulla riva destra, quella serba, si trova la fortezza di Golubac; una cittadella medievale che pare sorgere direttamente dalle acque color caffellatte del Danubio. Una massiccia e lenta opera di ristrutturazione è da poco terminata, la signora che ha supervisionato i lavori ha voglia di parlare. Vestita in maniera elegante, fa gli onori di casa, la passione per la fortezza traspare in ogni parola che esce dalla sua bocca. Un entusiasmo contagioso accompagna il racconto della storia dell’origine del nome Golubac. “Troviamo il nome Golubac per la prima volta tra le fonti storiche del 1335, quando viene menzionato come un presidio militare ungherese”.
Controlla che l’interlocutore presti attenzione a parole che nascono da anni di ricerche. “È ovvio che il forte sia stato eretto ben prima ma non abbiamo informazioni accurate in merito”, ora dà un’occhiata a un collega che pare stia richiamando la sua attenzione. Ma la signora non lascia nulla a metà. “Nelle mappe medievali il luogo dove ci troviamo appare con i nomi in diverse lingue: Columbaz, Columbarum, Taubersburg, (tra gli altri) ciascuno contenente la parola golub (colomba)”.
Torna indietro ai tempi dell’occupazione ottomana per spiegare il perché di quel golub. “C’è una leggenda che narra di un comandante di una città ottomana che si innamorò di una ragazza di nome Golubana. La fanciulla si rifiutò di entrare nel suo harem e lui pensò bene di incatenarla a una roccia per far sì che si pentisse. Ma di donne forti è sempre stato pieno il mondo e questa preferì lasciarsi morire piuttosto che sottostare alla prepotenza dell’uomo. In memoria di questa giovane eroina la fortezza fu chiamata Golubac”.
Una delegazione importante, a giudicare dai vestiti eleganti indossati dai suoi componenti, varca l’ingresso principale e a questo punto la signora non può sottrarsi ai suoi impegni e se ne va, non prima di aver sottolineato che si tratta di una leggenda.
Nella sua semplicità architettonica ciò che lascia esterrefatti sono le mura di cinta che seguono l’orografia, salendo il pendio roccioso di Ridan e le torri che si ergono sprigionando un senso si potenza e invulnerabilità. Una solidità che spiega in maniera eloquente l’importanza strategica e militare dell’area. Prendere possesso di questa fortezza significava avere le chiavi di accesso tra est e ovest sia via terra sia, soprattutto, lungo il Danubio. Non c’è da meravigliarsi quindi che Ungheresi, Serbi e più tardi gli Ottomani si siano scannati per controllare questa cittadella.
La torre in posizione più elevata, la si raggiunge pagando un biglietto extra e mostrando di avere calzature adatte alla salita impervia. La struttura sembra essere sbocciata dalla roccia stessa. Da quassù carezzati da una brezza che giunge da ponente e con le voci dei pochi visitatori lontane, si ha il tempo di scarabocchiare qualche nota sui personaggi che sono legati alla fortezza. Il despota Stefan Lazarevic, figura centrale nella storia serba non solo per le sue capacità militari ma anche per il grande contributo artistico e culturale. Zawisza Czarny eroe nazionale polacco che si unì a Sigismondo di Lussemburgo nella campagna per la conquista di Golubac. Kodja Mahmud Pasha, visir, poeta, politico e comandante militare che prese Golubac il 10 Agosto 1458. Figure legate ad anni tumultuosi, ora tutto è tranquillo e la chiatta che scivola controcorrente sulle acque limacciose del Danubio ne è la riprova. Chissà cosa direbbe la povera Golubana di tutta questa pace.
Paolo Zambon è l’autore di due libri “Inseguendo le ombre dei colibrì” e “Viaggio in Oman”