Quarantaquattro anni fa il terremoto del Friuli, un’esperienza che ha segnato in modo indelebile il popolo friulano e che oggi più che mai viene prepotentemente rievocata, come modello da seguire e replicare per uscire dall’emergenza Coronavirus e ripartire. La sera di giovedì 6 maggio 1976 la terra tremò per 59 interminabili secondi, causando la morte di 989 persone. Quest’anno, in un clima surreale legato proprio all’emergenza sanitaria del Covid19, le cerimonie di commemorazione delle vittime saranno ‘a porte chiuse’, con la presenza soltanto di poche autorità. Questa sera, alle 19, come da tradizione nel duomo di Gemona, paese che pagò il più alto tributo in termini di vittime, si terrà la santa messa e il rintocco delle campane in ricordo delle 400 persone che quella sera trovarono la morte.
“Sarà una commemorazione silenziosa – annuncia su Facebook il sindaco Roberto Revelant –, mai vissuta prima, una situazione inedita che non ci saremmo immaginati di vivere a 44 anni dal sisma. La Comunità, sebbene dalle proprie abitazioni, sarà unita nel ricordo dei 400 cari che hanno perso la vita in quel terribile sisma che sconvolse la nostra Città ed il Friuli intero, il cui prezzo pagato ha raggiunto le 1000 vittime.
Ringraziamo i nostri padri ed i nostri nonni, il Popolo friulano e tutti coloro che ci hanno donato aiuto con ogni mezzo in una straordinaria azione di solidarietà. Tra i grandi padri nobili dell’opera di ricostruzione del Friuli terremotato e soprattutto della nostra Città non possiamo dimenticare in questo giorno del Sindaco Ivano Benvenuti, dell’Assessore alla ricostruzione Salvatore Varisco e il commissario straordinario On. Giuseppe Zamberletti.
Da quella terrificante esperienza lungimiranti amministratori e politici hanno pianificato con successo la ricostruzione e lo sviluppo della nostra regione. L’appello che rivolgo a chi ha un ruolo di responsabilità oggi, è di avere altrettanto coraggio nelle scelte guardando al domani con l’obiettivo di ricostruire un Paese forte e strutturato, con l’orizzonte a 15/20 anni, e non limitandosi ad una sola risposta di breve periodo, che deve comunque arrivare.
C’è la necessità di scelte importanti, ricorrendo a strumenti derogatori per superare i pachidermici percorsi per far partire le opere pubbliche e garantendo poteri commissariali ai sindaci come avvenne ai tempi del sisma. Servono azioni coraggiose, riponendo fiducia degli italiani e di chi ha voglia di fare. Non dimentichiamoci mai l’insegnamento di quella tragica esperienza del 1976”.
“L’esempio della ricostruzione e solidarietà del popolo friulano – scrive il vicepresidente del Fvg, Riccardo Riccardi -, Protezione Civile e Alpini, è il simbolo di una forza che ci permetterà, anche questa volta, di rinascere! Il Friuli ringrazia e non dimentica”.
La notte che segnò per sempre il Friuli e i friulani
Epicentro del sisma il monte San Simeone dal quale, alle 21, si è sprigionata una scossa di magnitudo 6,4 della scala Richter e intensità pari al IX-X grado della scala Mercalli.
Devastazione e disperazione si diffusero rapidamente in tutta la zona a nord di Udine, la più colpita. A Majano, Buja, Gemona, Venzone, Osoppo, Magnano, Artegna, Colloredo, Tarcento, Forgaria e lungo la fascia pedemontana c’è solo morte e distruzione. Case crollate, edifici piagati dalla forza implacabile del terremoto. E i morti, tanti morti, rimasti sepolti tra le macerie.
Il bilancio è pesante, si parla di 3.000 feriti e quasi 200.000 persone senza casa.
Nell’immediato, quella notte, complice il buio e l’interruzione delle comunicazioni, la portata della tragedia non era nemmeno lontanamente immaginabile. E’ all’alba di venerdì 7 maggio che le dimensioni della tragedia prendono corpo. Le immagini in bianco e nero ci ricordano scenari da film apocalittico. Il paesaggio è spettrale, irriconoscibile, ci sono soltanto macerie. E le scosse non si arrestano, la forza del sisma colpisce ancora, implacabile, portando terrore e paura tra gli sfollati, i sopravvissuti a una tragedia che segnerà per sempre il popolo friulano.
Il giorno dopo le immagini di un Friuli ridotto a macerie fecero il giro del mondo, consentendo alla macchina della solidarietà di mettersi in moto. Dall’estero i migranti friulani tornano nella loro terra martoriata per aiutare i sopravvissuti a pulire e ricostruire. L’Italia intera si mobilitòper portare soccorso ai terremotati e agli sfollati. Indispensabile, per ricominciare, l’aiuto delle istituzioni, dell’esercito italiano, ma anche di quello statunitense, canadese, francese, austriaco e tedesco che operarono nelle zone più colpite.
La forza dei friulani, la volontà di vita, fecero il resto. Ci si rimboccò le maniche e si ricominciò: a ripulire le strade dalle macerie, poi a ricostruire, e infine a vivere, senza però mai dimenticare l’Orcolat.
Oggi, più che mai, quel ‘modello Friuli’ che ha saputo rialzarsi a tempi record è il modello a cui i friulani guardano per poter ripartire più forti di prima e superare la crisi generata dalla pandemia in corso.