Si è spento in ospedale, a Udine, a 90 anni, don Armando Bassi, che per 26 anni ha retto la parrocchia di San Giuseppe in viale Venezia e per tredici anni quelle di San Rocco e del Cormor. Nel 2016, per raggiunti limiti di età, era andato in pensione.
Originario di Tissano, dove era nato il 9 luglio 1928, aveva mosso i primi passi nella parrocchia del Carmine a Udine, poi dal 1957 al 1961 è stato segretario personale dell’Arcivescovo friulano Cicuttini a Città di Castello, a Perugia. Dal 1978 al 1990 è stato parroco a Torviscosa e poi di San Giuseppe, a Udine, e dal 2002 anche di San Rocco e del Cormor. Dopo il pensionamento era tornato a vivere con i famigliari nella sua Tissano.
“Considero la vita – ci aveva detto in un’intervista realizzata nel 2006 al nostro settimanale – un dono talmente prezioso che occorre affrontarla e santificarla ogni giorno con gioia e serenità. Il mio buon umore congenito mi porta a correre anche rischi d’irriverenza, qualche volta. E’ più forte di me, ma anche dall’altare mi viene naturale conversare con i fedeli inserendo qualche battuta amichevole. Oppure avere l’ardire di raccontare all’arcivescovo Battisti la barzelletta sui canonici del Duomo o quella sul titolo di monsignore”.
Proprio la chiesa di San Giuseppe, in viale Venezia, è stata trasformata grazie a don Bassi. La struttura Toso sorta nel 1963 a firma dell’architetto Firmino, qualche anno fa appariva come una specie di grande capannone in cemento armato. Grazie a una raccolta fondi don Bassi installò delle vetrate artistiche di Arrigo Poz. Lo stesso artista ha poi risolto anche il problema estetico di dare rilievo alle formelle in ceramica della Via Crucis di Michi Sgobino, supportandole con appropriati supporti in metallo.
Don Armando Bassi, con il suo buon umore, ha animato la parrocchia dei San Giuseppe, coinvolgendo i bambini, lasciandoli liberi di sedersi in chiesa per la santa Messa, ovunque nel Presbiterio.
“Quando ero alla chiesa del Carmine – ricordava don Armando – c’era un fedele di alta statura che svettava su tutti. Quando cominciava a guardare il soffitto o i dipinti antichi era ora di smettere di predicare. Cronometrato i tempi di resistenza della mia inconscia cavia registravo regolarmente sette minuti esatti, che sono diventati poi i miei tempi fissi definitivi”.
“La mia parola non deve sopraffare quella di Dio e deve essere portata con semplicità di linguaggio – ci aveva confessato –. I concetti s’ispirano tutti al cristianesimo che si riconosce nella Resurrezione, nella gioia e nella speranza che apre i cuori. Se venite a Messa per abitudine e non uscite con maggiore gioia nei cuori, allora io ho sbagliato tutto. Sono felice quando vedo che i parrocchiani si fermano sul sagrato a conversare piacevolmente fra loro dopo Messa”.
Sulle ultime tre parrocchie seguite diceva che “ognuna di queste tre realtà sociali si trova agli antipodi dell’altra. Nel Cormor si respira ancora l’atmosfera agricola, seppure con le relative aree che si rimpiccioliscono sempre più, mentre a San Giuseppe gravita il ceto medio e a San Rocco è ancora radicata la mentalità attiva e combattiva del lavoratore dipendente e dell’operaio che proviene dall’antica tradizione del rione. Non dimentichiamo che qui, fino all’ultimo dopoguerra, esistevano le case e le baracche di legno, trasformate poi in case popolari. Per un popolo di Dio così composito operiamo attraverso un Consiglio pastorale equamente ripartito in tre parti rappresentative che portano nell’attività l’esperienza diretta di cittadini e di fedeli”.