Si è spento all’età di 77 anni il cantautore Enzo Jannacci. Da tempo era malato di cancro.
Riproponiamo per i lettori un’intervista realizzata nel 2006 al cantautore milanese
il milanese per antonomasia, è anche un po’ friulano.
Non soltanto perché ha amici nella Piccola patria o perché apprezza il vino e le nostre specialità enogastronomiche, come il suo “collega” Renato Pozzetto.
Jannacci ha condiviso con i friulani uno dei momenti più tragici della loro storia. Nel 1976 lui lavorava all’ospedale di Udine e quel terribile maggio era a Fagagna, dove abitava.
– Ci racconti il suo 6 maggio…
“Sono in auto, un vecchio maggiolino Volkswagen, con Cesare Puricelli e sua moglie Silvia e stiamo andando a Udine. Improvvisamente, sentiamo un rumore infernale che non finisce mai. La terra trema e i muri ondeggiano. Alcuni cadono. Silvia si mette a gridare ‘i bambini, i bambini’, riferendosi ai figli, Guido e Valeria, che sono rimasti a casa a Fagagna. Giriamo la macchina e torniamo indietro. Un’esperienza incredibile. Per fortuna, quella sera gran parte della gente di Fagagna era nel campo sportivo a vedere il circo. Anche per questo non ci sono stati danni alle persone”.
– Cosa ricorda della devastazione?
“Sinceramente, in quel periodo ho girato poco per il Friuli. Tutti i medici, infatti, erano stati precettati per soccorrere e curare i feriti. Ho trascorso quei giorni in sala operatoria con il bisturi in mano”.
– E del Friuli?
“Sisma a parte, mi piaceva. Avevo già deciso di portare in Friuli la mia famiglia, ma il terremoto mi fece cambiare idea e tornai a Milano. Ho un bellissimo ricordo, poi, sia di Puricelli, sia del professor Meriggi, che mi aveva chiamato a Udine. Quando è morto, mi è dispiaciuto moltissimo. Uno spiacevole episodio, invece, risale a qualche anno fa. Durante una mia esibizione a Lignano, sono stato contestato da quattro fascisti. Durante l’intervallo dello spettacolo, sono uscito dalle quinte per cercarli. Avevo proprio voglia di prenderli a cazzotti (sa, non ho un bel carattere), ma loro se l’erano già svignata”.
– Lei è sia medico, sia uomo di spettacolo. Dà più soddisfazione curare il corpo con il bisturi o l’anima con la comicità?
“Sicuramente il corpo, che non è scisso dall’anima. Inoltre, è sempre l’anima che muove la mano del chirurgo”.
– Come è riuscito ad armonizzare le sue due professioni?
“Agli inizi non è stato facile. Quando ero ragazzo, non avevo molti soldi e così suonavo il piano nelle balere per mantenermi. Per tre anni ho studiato ventiquattr’ore su ventiquattro: venti le passavo sui libri, le altre a suonare”.
– Lei è impegnato anche nel volontariato. Qual è la sua esperienza in questo campo?
“E’ vero, passo 3-4 ore due volte a settimana a seguire dal punto di vista medico alcune persone extracomunitarie a Milano. Diamo loro medicine e facciamo le diagnosi. Aiutare gente che non si è adattata al clima e al cibo, oltre a essere trattata male, è una bella esperienza”.
– I suoi spettacoli, oltre alla sua firma, portano quella di suo figlio. Paolo Jannacci è più un apprendista o un compagno di scena?
“Paolo è un artista fatto e finito e, a dire il vero, sul palco è lui che comanda. Se ha imparato? E’ un genio, un bravissimo pianista jazz e, dopo aver studiato filosofia, ora sta frequentando il quinto anno di conservatorio. Devo dire che il figlio ha superato di gran lunga il padre. Io, magari, sto anche un mese su un accordo, lui pochissimo tempo. Lavoriamo assieme da vent’anni e siamo una coppia molto affiatata”.
– Per l’intervista, l’ho strappata alle prove del suo prossimo spettacolo. Di cosa si tratta?
“E’ una storia raccontata in milanese tradotta con alcune didascalie. Non c’è un vero copione, ma soltanto un canovaccio che lascia molto spazio all’improvvisazione. Comunque, se non l’ultimo, sarà il penultimo lavoro”.
– Lascia le scene?
“Sì, ho deciso di fermarmi. Lavorerò ancora due o tre anni, poi basta. Non ho più l’età e poi sono anche stufo”.
– Restiamo ancora un momento sul palcoscenico. Qual è il politico che prende di mira con più soddisfazione?
“Più che di mira, molti li prenderei per il collo. E, invece, tocca tenerceli”.
– E chi ammira?
“Mi piacciono Prodi, perché è un capace economista che non si ferma davanti alle avversità, e Fassino. Il segretario dei Ds è una persona molto acuta e sa tutto. Mi ha molto impressionato quando, a una cena, ha preso a pesci in faccia un avversario intelligente come Giuliano Ferrara”.
– Cosa pensa della situazione italiana?
“I nodi stanno venendo al pettine. Mi fanno rabbia quegli italiani che stanno vivendo al di sopra delle proprie possibilità. Non solo non risparmiano, ma spendono più di quanto hanno facendo debiti. Qui a Milano è difficile vivere con 3 mila euro al mese. Eppure, nonostante la crisi, vedi la gente girare a bordo di macchinoni nuovi di zecca… Tanti, comunque, non hanno niente e si trovano davvero in difficoltà. Per fortuna, in questi anni ho messo via qualcosa e ho sistemato mio figlio”.
– Milano è una fucina di talenti comici. Cosa pensa delle generazioni che hanno seguito la sua?
“Tra quelli emersi dopo di noi, apprezzo Diego Abatantuno, Paolo Rossi, Roberto Benigni e Beppe Grillo. Tra i più giovani, apprezzo pochissimi, soprattutto Ale e Franz. Gli altri sono solamente battutisti. Non a caso, sono quasi tutti ex animatori di villaggi turistici. E poi dicono che la mia comicità è antica… A dire il vero, ci sono alcuni bravi, ma sconosciuti, per i quali è impossibile emergere. In televisione? Non vado in un posto dove, per avere successo, ci si deve tirar giù braghe e mutande e mostrare i coglioni. Non fa per me, meglio il teatro”.
– Il suo spettacolo che ricorda con piacere?
“Mi viene in mente ‘Aspettando Godot’, messo in scena con il mio grande amico Giorgio Gaber: lui era molto preciso, io lo zuzzurellone di turno”.
– Parliamo di fecondazione assistita. Ha votato al referendum?
“Certo che ho votato, anche se non si capiva niente. E sì che sono anche un embriologo. Si immagini quanto poteva comprendere la gente. Senza contare che era stufa di andare alle urne e anche un po’ arrabbiata per i soldi spesi per la consultazione”.
– Cosa pensa dell’atteggiamento della Chiesa?
“Ha fatto una porcheria. Dice di essere a favore della vita, ma ha ucciso più lei che la bomba atomica. Almeno il Papa avrebbe potuto dire di andare a votare, anche per il no. Questa colpa, Ratzinger se la porterà appresso per tutta la vita. Guardi, io sono cristiano. Cristo ha cambiato il senso della vita di molti, tra i quali io. Ma l’atteggiamento della Chiesa mi ha fatto proprio arrabbiare”.
– Quale, tra i suoi dischi, ascolta di più?
“Di norma, non riascolto i miei lavori. Sul piatto, comunque, c’è ‘Come gli aeroplani’, la cui orchestrazione è meravigliosa, L’ha fatta mio figlio. Come pianista jazz non si campa, ma con le orchestrazioni sì”.
– Ultimo film visto?
“E’ stato ‘Ragazzo di Calabria’, con il mio amico Volontè e un bravissimo Abatantuono. Sa dove andare ed essere sia comico, sia serio”.
– Libro sul comodino?
“Sto leggendo ‘La via della Cina’ di Renato Pisu. Glielo consiglio, si capisce come è facile fare concorrenza utilizzando il lavoro dei bambini e schiavizzando gli uomini”.
30 marzo 2013