La crisi economica ha costretto l’intero comparto dell’edilizia a ripensare strategie e obbiettivi. Fino al termine della prima decade degli Anni ’2000, quando è esplosa la bolla del mercato immobiliare si è continuato a costruire case e capannoni anche in Comuni dove già il 30% del patrimonio immobiliare risultava inutilizzato. A pagare lo scotto sono stati non solo le imprese, ma pure i proprietari delle case, il cui valore è crollato, tanto più se si trattava di piccoli centri o di edifici non di recente edificazione.
Terminata la fame insaziabile o presunta tale di terreni, molti che avevano chiesto di rendere edificabile un appezzamento si sono trovati con un bene diventato oggetto di forti attenzioni fiscali, tanto per usare un eufemismo, col solo risultato che da investimento il terreno si è trasformato in palla al piede, costosissima da mantenere. Questa premessa serve a spiegare come mai in vari Comuni friulani si stia assistendo alla riduzione dei terreni edificabili, mediante il ricorso a varianti non sostanziali al Piano regolatore che, come tali, non hanno bisogno del controllo e del via libera degli uffici regionali. E’ il caso di Martignacco, dove si sta correndo ai ripari dopo anni di cementificazione anche alla luce dei gravi fatti alluvionali che hanno colpito alcune frazioni l’anno scorso.
Di questi tempi è raro che qualche sin daco annunci la rielaborazione del Piano regolatore generale per ampliare l’edificazione, per dare “risposte ai cittadini” e quasi tutti preferiscono favorire interventi di recupero dei centri storici o delle case esistenti. Eppure, in altre parti del Paese, si comincia a parlare apertamente di Piani regolatori a consumo zero. Chissà che presto o tardi, anche in una regione come la nostra, affetta dal male del mattone, non si faccia altrettanto.