Come vedono gli imprenditori il futuro della nostra Regione, sia dal punto di vista istituzionale, sia da quello a loro più congeniale, vale a dire da quello economico? Lo abbiamo chiesto a Edi Snaidero che, oltre a dirigere l’omonima impresa di famiglia, in passato ha potuto ‘toccare con mano’ alcuni ‘pezzi’ del nostro sistema speciale. Snaidero, infatti, è stato presidente di Friuli negli anni più bui della crisi economica ed è stato componente del Consiglio d’amministrazione di Autovie.
La nostra autonomia si caratterizza per importanti strumenti di politica economica (Friulia, Frie, Mediocredito). Oggi queste leve sono utilizzate bene?
“Questi sono stati strumenti importantissimi per 45 anni, fondamentali e utili per lo sviluppo del Fvg, in periodi diversi dall’attuale. Non sono carrozzoni, lo dico da imprenditore, nati sull’autonomia regionale e che altri non hanno. Ma dal 2008, quando è iniziata la terza guerra mondiale economica, tutto è cambiato e ora sono utili in maniera diversa. E’ necessario calarli nella realtà attuale per recuperare il terreno perso con la crisi. La politica deve fatta una riflessione profonda sul senso è l’utilità di tali strumenti, collegandosi al mondo economico e in maniera strutturata”.
Lei è stato presidente di Friulia dal 2011 al 2013. Quali erano gli handicap di questa struttura? Continua ad averli?
“Sono stato presidente nei 3 anni più difficili della crisi. In questo periodo abbiamo fatto molte operazioni, una trentina all’anno, e i risultati sulla stabilizzazione e il recupero di situazioni difficili sono stati positivi. Certo, restano le limitazioni dovute al fatto che si tratta di strumenti pubblici e che non è possibile andare oltre un certo livello di rischio. Negli ultimi anni la finanza è ulteriormente cambiata il problema è di adeguare queste società. Potrebbe fare di più, ma servono una nuova visione generale e una rivisitazione delle regole per essere più incisivi. Questo vale anche per Finest, che deve diventare uno strumento per l’internazionalizzazione più efficace”.
L’appassiona la bagarre sull’architettura istituzionale, per esempio sulle Uti?
“Per nulla. Lo sforzo che si sta facendo per modernizzare le istituzione partorisce risultati minimi. Negli ultimi 6-8 anni l’industria è dovuta cambiare eliminando gli sprechi e i risultati non sono comparabili con quelli istituzionali. La volontà c’è, non lo nego, e la direzione è giusta, ma non basta. Prendiamo la soppressione delle Province: è sufficiente eliminare gli stipendi di alcuni assessori quando il grosso dei costi è passato alla Regione? L’errore è di non pensare a obiettivi, per esempio patendo da quanto deve essere tagliato. Il rischio è che il costo dello sforzo sia maggiore del risultato”.
A suo avviso, quali sono le priorità che la politica regionale dovrebbe perseguire?
“Il sistema politico regionale deve partire dallo sviluppo dell’economia, senza il quale lo stato sociale rischia d’incrinarsi. La politica creare le condizioni della crescita. In altre regioni il recupero è stato più veloce. Una Regione autonoma, per essere tale, deve avere una marcia in più, non una in meno. La specialità può continuare ad avere un senso se sapremo essere migliori, dimostrando più efficienza, migliorando sanità e fiscalità. A questo punto, nessuno metterà più in discussione la nostra autonomia. Ma, anche in questo caso, serve una riflessione a 360 gradi”.
Lei nel 2007 si era impegnato in Liberidea, ‘pensatoio’ del centrodestra. Lo rifarebbe? E’ uno strumento politico ancora valido?
“Liberidea è superata. Allora mi sentivo in dovere di dare un mio contributo d’idee. Dopo l’offerta fattami di essere candidato presidente della Regione, mi sembrava giusto ricambiare tale riconoscimento. Da lì è nata la mia esperienza in Friulia. Guidare la società non era un mio traguardo, anche perché, essendo un imprenditore, tale posizione era particolarmente delicata. Non mi sono pentito, ma non lo rifarei. Ora non potrei permettermelo per l’impegno che ho nella mia azienda. Nel 2013, anche se Debora Serracchiani me lo avesse chiesto, non sarei rimasto presidente di Friulia”.
Oggi c’è ancora spazio per la società civile nella politica regionale?
“Dipende da chi vuole impegnarsi e dalla qualità dei politici. Certo è che la politica dovrebbe fare un ragionamento aperto alla società civile. C’è bisogno di condividere e chi fa economia dovrebbe essere ascoltato, specie sul lato delle idee. Non solo in campagna elettorale, anche dopo. Capire come muoversi in una situazione complessa come quella attuale è indispensabile. Ora, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra ci sono persone che hanno chiara questa visione e capaci di parlare alla società civile. Spero che siano loro i prossimi candidati alla presidenza regionale”.