Cantiere senza fine, causa infinta. Sembra destinata a durare diversi anni – 4–5 solo per il primo grado di giudizio – la battaglia legale tra Comune di Udine e le imprese Polese di Sacile e Mecoin di Milazzo sulla ristrutturazione del Palasport Carnera, la cui prima udienza si terrà il 10 ottobre. Le due imprese, infatti, hanno chiesto un risarcimento milionario al Comune di Udine: oltre due milioni e mezzo di euro per danni diretti, indiretti, d’immagine e reputazionali.
Andiamo con ordine. Nel 2012, le due società, costituitesi in Ati, si aggiudicano l’appalto per la ristrutturazione del palasport, ma rilevano un grave errore progettuale e lo segnalano al responsabile unico del procedimento e al direttore dei lavori. A giugno 2013 il Comune sospende i lavori e a dicembre ordina la ripresa. A gennaio 2014, palazzo D’Aronco comunica la risoluzione del contratto per inadempimenti, ritardi e irregolarità, assegnando successivamente il cantiere alla Riccesi di Trieste. La cosa si complica quando il Comune tenta di escutere la fideiussione di circa 120mila euro. L’Ati si rivolge al Tribunale di Pordenone, che blocca il procedimento. Proprio in base al dispositivo delle ordinanze, le due società hanno presentato il risarcimento dei danni.
“Il Comune di Udine – dice l’assessore ai Lavori Pubblici, Pierenrico Scalettaris – è relativamente tranquillo. La nostra posizione è che non ci fu errore progettuale e, a mio avviso, il Comune si è comportato in maniera lineare: ha cercato una conciliazione con le imprese e solo dopo ha risolto il contratto. In caso di condanna, l’Amministrazione (che ha già accantonato in via prudenziale 500mila euro) chiamerà in causa il progettista, il quale a sua volta si rivolgerà alla propria assicurazione. In linea teorica, trovandosi il Comune in una posizione intermedia, non ci dovrebbero esserci esborsi da parte del pubblico. Ma è sempre possibile che sia riconosciuta al Comune una quota e una percentuale di responsabilità. Probabilmente si andrà fino alla Cassazione e passeranno anni prima di vedere la conclusione della vicenda, anche se già per la sentenza di primo grado il risarcimento dei danni è provvisoriamente esecutivo”.
Sulla tempistica, l’avvocato Maurizio Miculan, legale di Polese e Mecoin, si trova sulla stessa lunghezza d’onda. “Per giungere alla fine del primo grado di giudizio – spiega il legale – ci vorranno non meno di 4-5 anni proprio per individuare e attribuire le responsabilità dei singoli. Tuttavia, oltre alla questione dei gravi errori progettuali (presenza di amianto e calcolo per la campata principale), c’è quella della delibera del Comune, nella quale, dice il Tribunale di Pordenone, sono state riscontrate violazioni di leggi e di regolamenti. Inoltre, va tenuto conto che l’amministrazione cittadina, quando ha riassegnato l’appalto alla nuova impresa, ha sostituito il Responsabile unico del procedimento”.
Ma quali sono queste violazioni? Stando agli atti, il punto centrale riguarda la tempistica per la ripresa dei lavori: l’ordine è stato dato il giorno successivo all’approvazione della perizia di variante (20 dicembre) e reiterato in un giorno festivo (il 26 dicembre), chiedendo di riprendere l’opera il 7 gennaio. Tempi troppo brevi per ricominciare la ristrutturazione dopo mesi di sospensione. Le imprese, allora, hanno concordato con il direttore dei lavori il riavvio per il 29 gennaio, ma il giorno prima il Comune ha chiesto la risoluzione del contratto proprio per mancato rispetto dei termini di inizio lavori.
“Ritiene questo giudicante – si legge nella prima ordinanza – che la determinazione del Comune di risolvere il contratto e la conseguente decisione di escutere la garanzia fideiussoria sono state poste in essere abusivamente per danneggiare la ricorrente dovendosi evidenziare da un lato la chiara eccentricità della tempistica imposta all’appaltatrice per quanto concerne la ripresa dei lavori e d’altro lato la circostanza che tale provvedimento sanzionatorio è stato adottato senza l’instaurazione di alcun contraddittorio con controparte”.
Un’ordinanza alla quale palazzo D’Aronco si è opposto. Tuttavia, il Tribunale ha dato nuovamente ragione alle imprese, aggiungendo un nuovo rilievo. “Ritiene il Collegio – si legge nella seconda ordinanza – che costituisca danno irreparabile, ai fini di ‘reputazione d’impresa’ anche la segnalazione all’Autorità di vigilanza dei Lavori pubblici, costituendo tale autorità uno strumento informativo a disposizione delle stazioni appaltanti da cui attingere notizia sulle imprese”.
Carnera: cantiere senza fine, causa infinita
Errori progettuali e responsabilità da individuare
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