La notizia di ieri sul crollo di un tetto alla centrale nucleare di Chernobyl, ha sollevato diverse e diffuse preoccupazioni, tranquillizzate poi dalle affermazioni delle autorità ucraine sull’assenza di incremento dei livelli locali di radioattività.
La maggiore attenzione si è concentrata sulla necessità di finire il più in fretta possibile l’arco (shelter) che dovrebbe contenere il vecchio sarcofago, il quale con la presenza di oltre 1.000 metri quadri di crepe sulla propria struttura, diffonde tutt’intorno polveri radioattive.
Secondo quanto riferito dai media, Valery Kalchenco, capo della sottocommissione del Parlamento Ucraino sulle conseguenze della catastrofe di Cernobyl ha dichiarato che parte della copertura dell’edificio turbine tra l’Unità 3 e 4 della centrale è crollata per il peso della neve accumulatasi. L’area colpita dal crollo è di circa 500-600 metri quadrati. Sempre secondo la stessa fonte, le unità d’emergenza e le forze militari sono già sul posto e stanno rimuovendo i detriti e la neve, mentre le radiazioni in ambiente sono nella norma.
A dispetto delle dichiarazioni tranquillizzanti, Greenpeace ritiene doveroso non minimizzare questi segnali. “Anche se il livello di radioattività nell’ambiente non ha subito variazioni, il segnale è preoccupante” afferma Giuseppe Onufrio, direttore Esecutivo di Greenpeace Italia. “Se le lastre iniziano a cedere nella sala turbine, non vi è alcuna garanzia che la struttura di protezione costruita nel 1986 non crolli. Il sarcofago costruito a protezione del nucleo della centrale non può reggere ancora a lungo ed è questo il motivo per cui si sta costruendo una nuova struttura”.
Il problema maggiore del sarcofago è dato dalla polvere che si sta accumulando all’interno della struttura. Questa polvere è radioattiva e se si dovesse disperdere per decine di chilometri nella zona circostante la centrale creerebbe dei seri pericoli, contaminando l’area.
L’attenzione giusta, ma prevalente, sulla necessità di confinare nel più breve tempo possibile le emissioni radioattive e di prevenire il collasso della preesistente struttura (il sarcofago), stanno in parte – distogliendo l’attenzione da quanto avviene sotto terra. Il sarcofago di contenimento è stato costruito utilizzando, oltre le parti rimanenti del reattore esploso, 300.000 tonnellate di cemento e 1.000 tonnellate di strutture metalliche: il peso sulle fondamenta del reattore esploso è aumentato di 10 volte (dalle 20 alle 200 ton/mq), per cui il reattore è sprofondato di 4 metri.
Questo sprofondamento ha messo in contatto il materiale radioattivo con le falde acquifere tributarie dei fiumi Pripyat e Dnepr che convogliano le loro acque nel Mar Nero e che fungono da bacino idrico per 30 milioni di persone; bisogna, poi, far notare che, ad aggravare la situazione, vi sono le conseguenze degli 800 siti di smaltimento di scorie radioattive, allestiti in emergenza subito dopo l’esplosione. Inoltre, all’interno del sarcofago sono presenti: 180 tonnellate di combustibile e pulviscolo radioattivi, 11.000 metri cubi e 740.000 metri cubi di macerie altamente contaminate La radioattività totale supera i 20 milioni di curie.
Tale situazione interna del reattore, unita ad un sufficiente grado di sismicità territoriale, pone doverosamente all’attenzione – senza enfasi eccessive, ma con reale pragmatismo – la possibilità di esplosioni che, se eventualmente contenute dallo shelter, potrebbero, invece, fare propagare la radioattività attraverso altre vie d’uscita, come quella sotterranea.
L’attenzione mediatica riaccesa dalla caduta del tetto alla centrale nucleare di Chernobyl, deve portare ad una valutazione generale sui rischi globali, compresi quelli sotterranei, partendo necessariamente da una seria analisi delle acque del fiume Dnepr nel suo defluire verso il Mar Nero, perché il rischio di contaminazione per via acquatica – come ci sta insegnando Fukushima – pone sfide diverse legate anche (e proprio) alla maggior diffusione e propagazione dei radionuclidi, rafforzate dalla maggiore lentezza e dispersione che, nel tempo, renderanno ubiquitaria la stessa diffusione (Mar Nero, Mediterraneo e così via).
14 febbraio 2013