La battaglia scoppiata in difesa dell’Ufficio regionale dell’istruzione, minacciato di essere assorbito da quello veneto, ha riportato alla ribalta il tema della scuola. L’impressione, però, è che l’attenzione di politici, sindacati e opinione pubblica sia stata rivolta a un ‘falso problema’. La scuola italiana è uno dei settori in cui, a differenza di quanto possano far pensare le innumerevoli riforme succedutesi e tra loro contradditorie, ha meno innovato negli ultimi 30-40 anni. Pur se in Friuli la qualità dell’istruzione dei giovani è più che soddisfacente, testimoniata anche dalle valutazioni con parametri europei, le forze sociali non scendono mai in campo per contestare un ‘modello’ vecchio, costoso e inadeguato ai tempi. Non è, cioè, il mantenimento di una direzione regionale a Trieste, anziché a Venezia, e neanche, come è stato ‘battagliato’ in passato, la nomina al vertice dell’ufficio di un friulano Doc, a garantire un percorso di miglioramento della scuola friulana.
Da qui la proposta, se volete anche provocatoria, per una scuola del Friuli Venezia Giulia autonoma, gestita direttamente dalla Regione, rilanciata ieri anche dal presidente della Commissione Paritetica Stato-Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy che ha proposto una revisione dell’accordo Tondo-Tremonti sul federalismo fiscale e l’ampliamento delle competenze della Regione, tra le quali quelle riguardanti l’educazione, università inclusa, come hanno fatto le Province di Trento e Bolzano e “così farebbe bene a fare il Friuli Venezia Giulia – ha detto Illy -“.
Esempi fuori regione
Cioè, né più né meno, di quanto accade da sempre nella provincia di Trento, per fare un esempio più simile al nostro, anche se a gestione locale sono anche le scuole di Bolzano. In sostanza, avviare un processo di sussidiarietà sull’esempio di quanto abbiamo già fatto in campo sanitario, in cui gestiamo autonomamente risorse finanziarie, strutture e personale, e in cui abbiamo raggiunto livelli di eccellenza nazionali ed europei.
Quanto ci costa
Partiamo analizzando qualche numero. Nella nostra regione gli iscritti alle scuole, dall’infanzia alle ‘superiori’, sono oltre 145mila. Il personale impiegato, docente e non, è di 20.300. La spesa statale per l’istruzione ammonta in Friuli Venezia Giulia a 603 milioni di euro all’anno, in gran parte costituita dagli stipendi del personale, in quanto gli oneri per gli edifici sono già a carico degli enti locali, cioè Comuni e Province; inoltre, la Regione eroga diversi fondi per progetti di arricchimento formativo.
Nella classifica nazionale la nostra è una delle regioni in cui lo Stato spende meno per la scuola in rapporto alla popolazione. Visti i risultati qualitativi, però, questo dato è quasi incomprensibile. Infatti, se in Friuli Venezia Giulia la spesa è di 488 euro per abitante, in Emilia Romagna tocca il minimo di 429, mentre la scuola più costosa è quella della Calabria con 705 euro all’anno per residente, seguita da quella lucana con 689 euro e quella campana con 662 euro, nonostante la loro qualità certificata sia tra le peggiori in Europa.
Risposte a famiglie e società
Eppure, anche la scuola friulana ha notevoli margini di miglioramento, in particolare per adattarsi alle esigenze sia delle famiglie, sia del tessuto economico e produttivo in cui le generazioni di studenti dovranno confluire. Certo, chiedere al governo centrale piena autonomia in campo scolastico, ancorché fosse minimamente disponibile a cederla, significa alzare di molto l’asticella alla classe dirigente locale. Il ‘fasin di besoi’ a volte ha portato a ottimi risultati, come nel caso della sanità e della protezione civile; in altre occasioni, invece, ci ha condannati a un pericoloso immobilismo, come nel caso nella gestione delle autonomie locali e delle partecipate pubbliche.
È, però, sulla scuola e sulla sua capacità di innovarsi che si gioca il futuro socio-economico del Friuli e lasciarla sotto una campana di vetro rappresenta un irresponsabile errore strategico.