Storie d’orrore di casa nostra. Casi eclatanti, che sono valsi a Pordenone la ribalta nazionale. Basti pensare al caso di Sanaa Dafani (nella foto), la marocchina 18enne uccisa dal padre nel settembre del 2009 perché amava un italiano o quello, successivo, avvenuto a Fiume Veneto del suicidio (o omicidio?) di Abdelmajid Tawgi, un marocchino che potrebbe essere stato ucciso dalla moglie Mina Adif. E come non ricordare, a Pasiano, nella frazione di Visinale, Doda Palusaj, che nel 2010 ha ammazzato la moglie a colpi di badile.
Ma i delitti efferati locali non riguardano solo gli extracomunitari, anzi. Negli ultimi 25 anni sono stati soprattutto gli italiani a essere vittime e carnefici dei casi pordenonesi. Lo conferma Giovanni Del Ben, medico legale pordenone, che di fatto si è occupato dell’80 per cento degli assassinii di casa nostra. E lui sfata il primo mito: non vede un aumento dei casi da noi, è solo che gli ultimi hanno fatto più notizia, come quello di Angela Gallina, la donna di Brugnera che si è trasformata in killer del nipote, reo di avere sperperato tutti i soldi prestatigli, freddandolo con alcuni colpi di pistola il 28 novembre dello scorso anno a Motta di Livenza. “In media c’è da aspettarsi uno o duo casi di omicidio volontario all’anno – spiega Del Ben -. E’ un trend costante per una provincia di 300 mila abitanti come la nostra”.
Il medico legale apre il cassetto (degli orrori) della sua memoria. “Di casi ne ho seguiti molti. In genere l’arma più usata è il coltello, seguito dalle armi da fuoco e dal martello, che compare in moltissimi casi di tentato omicidio. L’ambiente in cui si svolgono i delitti, in genere, è di estrema povertà. Ricordo casi di persone uccise, anche barbaramente, per essere derubate di pochi soldi, come un anziano di Fiume Veneto”. Killer seriali? “Uno, a Traffe di Pasiano – racconta Del Ben -, che uccise tre persone con un piccolo fucile da caccia con identiche modalità: un colpo alla testa. Ma dietro c’era una storia legata alla droga”.
“La differenza con il passato è questa – fa notare il medico legale -. Anni fa gli omicidi volontari erano in genere legati a droga, omosessualità e malavita. Oggi accadono sempre più spesso in ambito familiare. Liti che finiscono in tragedia, situazioni che esplodono da un giorno all’altro. E l’etnia non centra proprio nulla. Pensiamo al caso Cauz, a Porcia, dove un figlio fu ucciso dal padre”. Quasi tutti gli omicidi in terra pordenonese hanno trovato soluzione, eccetto per quattro nomi: Giovanni Dal Molin, Claudio Povoledo, Rosanna Sansigolo e Caterina Britt: “Il primo, un uomo veramente povero, ucciso a Sesto al Reghena per essere derubato di 50 mila lire; il secondo, un uomo di Fanna ammazzato da un bracconiere mai rintracciato; il terzo, una signora di Zoppola rinvenuta morta in casa e il quarto, una donna trovata con la testa fracassata sul greto del Cellina-Meduna. In tutti questi, le indagini si sono fermate”. E il caso della baby sitter Anna Laura Pedron? “Quello è stato riaperto varie volte e, se vogliamo, è anche un po’ merito mio. Sui verbali dell’epoca, 1998, scrivemmo che si dovevano conservare i campioni biologici perché in Inghilterra stavano nascendo nuove tecniche. Oggi, grazie a quel gesto, gli inquirenti hanno in mano un dna”. Vittima anche un bambino. “Ci fu un infanticidio nel 2002 a Sacile: la madre, una disabile psichica, dopo aver dato alla luce il piccolo, lo mise nella lavatrice”. Uno anche il caso di omicidio-suicidio. Una quindicina di anni fa a Prata, un uomo di mezza età, respinto da una 25enne, prima le sparò e poi si tolse la vita”.
E va ricordato un altro omicidio familiare a Pordenone nel novembre del 2008. Giuliano Modolo, 73 anni, uccise la moglie e il figlio per poi suicidarsi impiccandosi nella casa di accoglienza “Madonna Pellegrina”. I corpi sono stati rinvenuti da un sacerdote che era andato a trovarli. La moglie Bruna Iovesan, 68 anni, e il figlio Fabio (39) sono morti strangolati nel sonno con delle stringhe ricavate dalle lenzuola. Alla base del gesto una profonda crisi economica che avrebbe portato l’uomo a una forte depressione.
Di Trifone Ragone e Teresa Costanza, ammazzati a colpi di pistola il 17 marzo 2015, a un mese dal delitto si attende ancora di scoprire il nome dell’assassino.