Benvenuto Tondo, classe 1926, padre del due volte governatore del Fvg Renzo, si è spento in India, dove viveva con la seconda moglie Vandana Shastri. La salma di Benvenuto Tondo sarà cremata oggi, come vuole la tradizione indiana.
In suo ricordo riproponiamo un’intervista rilasciata al nostro settimanale nella primavera del 2010, dove raccontava delle sue origini, della Carnia e della sua infanzia, ma anche e soprattutto della nuova vita in India, al fianco della psicologa indiana sposata in seconde nozze, e dell’impegno in favore dei bambini e delle famiglie più poveri.
Un albergo ben avviato, una vita passata a lavorare in fabbrica prima e poi, appena andato in pensione, a gestire uno dei locali più frequentati di Tolmezzo. Eppure, a un certo punto, ha mollato tutto e ha cambiato vita. Benvenuto Tondo ha colmato il vuoto lasciato dalla moglie prematuramente scomparsa trovando in India una nuova anima gemella e si è dato da fare per aiutare chi non aveva nulla e viveva nelle baracche. Tondo non ama troppo parlare di se stesso. A tratti abbiamo avuto la netta impressione che, nonostante la sua cordialità, fosse imbarazzato dalla nostra curiosità. Da alcuni anni si divide tra il Friuli e l’immensa nazione orientale, dove ha incontrato la nuova moglie e ha avviato un’importante iniziativa umanitaria.
Benvenuto è originario di Buja, dove è nato il 10 dicembre del 1926, ma ormai si sente carnico d’adozione.
“Mio padre lavorava nel cascamificio di Artegna, ma le sanzioni bloccarono l’importazione di seta dall’oriente. Fu allora che papà si trasferì a Tolmezzo per lavorare in un’azienda chimica. Io lo raggiunsi nel 1943 e da allora ho sempre vissuto a Tolmezzo, dato che poi andai a lavorare in quell’azienda anch’io, dove sono rimasto per molti anni. A poca distanza da dove sorgeva quello stabilimento decisi poi di realizzare l’albergo al quale ho dato il mio nome. A ben vedere, il ristorante che ho messo in piedi, dopo essere andato in pensione, è stato quello che mi ha fatto lavorare di più”.
All’esperienza in India ci arriva per caso. Il figlio Giovanni decide di adottare una bimba in India e di impegnarsi poi a fondo nell’associazione International adoption. “Fu nel corso di un viaggio a Dehli per accompagnare mio figlio, nel 1985, che ho ha incontrato la mia futura moglie. Ero vedovo da molti anni e proprio nell’istituto dove eravamo andati in visita incontrai Vandana Shastri che lavorava come psicologa”.
Parte da quel colpo di fulmine il suo impegno in India?
“Cominciammo a scriverci per lungo tempo, fino a quando mia moglie non decise di farmi visita in Italia, in occasione di un incidente nel quale ero rimasto gravemente ferito. Da allora il nostro legame è diventato ogni giorno più profondo e, di pari passo, è cominciato il mio impegno in India”.
Mai stato fermo nella vita?
“Poco, anzi mai. Dopo l’esperienza nell’industria chimica, avevo messo su un’azienda per la costruzione di prefabbricati a Villa Santina per lavorare alla ricostruzione post terremoto, ma questa tecnologia in Carnia incontrava molte difficoltà, anche dal punto logistico. Visto che i macchinari erano praticamente fermi e che in India c’era invece bisogno di aiuti concreti, decisi di chiudere tutto e trasferire i macchinari in quel Paese per dare il via alla costruzione, nel 2003, di un intero villaggio al servizio della povera gente, grazie anche ai fondi messi a disposizione dal governo indiano. In poco tempo, oltre a due villaggi con quasi un centinaio di case, a circa 25 chilometri da Bhopal (la città divenuta famosa per la nube fuoriuscita da un’azienda chimica che uccise ufficialmente centinaia di persone, ndr), ho realizzato anche la Bhopal children house per garantire l’educazione ai bimbi delle famiglie più povere, nell’ambito dei progetti finanziati da International adoption, l’associazione alla quale partecipava attivamente mio figlio Giovanni”.
Chi gliel’ha fatta fare di andare in India anziché godersi la pensione?
“Per me il lavoro non è mai stata una fatica e poi avrei potuto fare del bene. Di certo, una scelta del genere difficilmente l’avrei fatta se non fosse stato per mia moglie che mi fece vedere da vicino le condizioni nelle quali viveva la gente spronandomi a rendermi utile”.
Di fatto oggi lei si divide tra l’India e il Friuli.
“Facciamo come le rondini. Sverno in India dove la temperatura è mite e arrivo in Friuli tra i monti per l’estate, per sfuggire al clima decisamente torrido del Madhya Pradesh. Negli ultimi tempi, anche a causa dell’età, ho tirato un po’ i remi in barca, ma comunque cerco di rendermi ancora utile”.
Siamo stati per tanti anni un popolo di emigranti. Viene quasi da pensare che lei voglia confermare questa tradizione.
“Facevo parte di una famiglia numerosa, con dieci fratelli, sparsi in mezza Europa. A ben vedere, ero uno dei pochi fortunati ad essere rimasto in Friuli. Diciamo che in qualche modo ora ho rimediato. Certo, questa mia esperienza mi fa osservare con occhi diversi chi lascia la sua casa e i suoi affetti alla ricerca di una vita migliore in un paese sconosciuto e lontano”.
Da quando ha cominciato a vivere in India, come ha visto cambiare la situazione in quel Paese? Ormai la citano come una delle “tigri asiatiche”.
“Mi pare di vedere la situazione di un tempo nel nostro Friuli, dove c’erano poche persone molto ricche e tante veramente molto povere. Anche in India, a fronte di pochi fortunati, c’è una moltitudine di persone che vivono nelle baracche di lamiera. Nonostante la crescita economica, a tratti impetuosa, e il processo di forte industrializzazione osservabile anche nella regione in cui vivo, ci vorranno ancora molti anni per superare questa situazione di profondo squilibrio. Il Paese è sconfinato e la popolazione è molto numerosa, con tutti i problemi che ciò comporta. Inoltre, c’è il progressivo abbandono delle campagne da parte dei diseredati diretti alla volta delle città per tentare di migliorare il proprio tenore di vita, ma dove di fatto finiscono per far crescere a dismisura i suburbi dove le condizioni di disagio sono se possibile peggiori”.
Ora a quale progetto sta lavorando?
“La scuola che abbiamo costruito e nella quale studiano oltre quattrocento bambini fino ai 10 anni, ha avviato, sempre grazie a International adoption, un progetto per la realizzazione di una fattoria didattica che non solo insegni ai ragazzi a coltivare la terra e ad allevare gli animali, autofinanziandosi con i proventi della vendita dei suoi prodotti.”.
Cosa le manca di più del Friuli quando è in India e viceversa?
“A parte gli affetti dei famigliari lontani, ogni tanto patisco un po’ per l’alimentazione perché mia moglie è vegetariana. Certo mi sono accorto che sto meglio, ma ogni tanto faccio qualche strappo alla regola, salvo poi recuperare quando arrivo a Tolmezzo. Quando invece sono qui in Friuli ho una certa nostalgia dei bimbi, dei loro sorrisi quando li incontro e mi si stringono accanto”.
L’esperienza che lei sta facendo ritiene potrebbe essere condivisa da tante altre persone che dopo essere andate in pensione si sentono messe da parte?
“Ovviamente sì, anche se sono consapevole che non tutti se la sentono di cambiare tanto radicalmente le proprie abitudini e il loro stile di vita. Ci vuole insomma un po’ di coraggio e avere la voglia di mettersi nuovamente alla prova. Di certo, rifarei tutto e non ho alcun rimpianto”.
E con il frico come la mettiamo? Le manca?
“Lo mangia eccome – taglia corto la moglie Vandana – soprattutto quello con le patate. Il formaggio se lo porta dietro e guai a dirgli qualcosa. E poi, non è vero che mangia solo vegetariano. In realtà lo fa soltanto la sera, perché a mezzogiorno un bel piatto di carne non se lo fa mancare”.
Alessandro Di Giusto