Calcolatrice alla mano, tre anni fa avevamo analizzato le varie componenti della società friulana per valutarne l’equilibrio socio-economico: ne era emerso un quadro allarmante, in cui un solo residente su tre generava nuova ricchezza, mentre gli altri due ne consumavano parte, essendo pensionati, minori, nullafacenti a carico o dipendenti pubblici. Graficamente, avevamo rappresentato la situazione con una piramide rovesciata, in cui è il vertice a sorreggere la base.
La svolta non c’è ancora stata
Ebbene, a tre anni di distanza, appunto, la situazione è ulteriormente peggiorata. A una sostanziale stabilità del numero di pensionati, bambini e studenti, fa da contraltare un rilevante calo dei lavoratori privati e un aumento dei disoccupati. Cresce, poi, in maniera preoccupante anche quello degli inoccupati, di chi cioè non cerca lavoro. Eppure, non siamo ancora giunti al punto di rottura. Il consumo di ricchezza accumulata in passato, ammortizzatori sociali ancora finanziati, un diffuso welfare familiare e una certa capacità di adattamento stanno puntellando il nostro modello sociale. Per quanto ancora? Altre nubi all’orizzonte
Esistono, purtroppo, fattori negativi pesanti come macigni. A partire dalla proporzione tra generazioni: ai due estremi, i minori di 15 anni sono quasi 164mila, mentre gli ultra 65enni quasi 292mila. Nel recente passato, si è pensato di compensare questo deficit rimpolpando con forza lavoro ad alta natalità, attraverso l’immigrazione, purtroppo non qualificata, che però genera problemi sociali e culturali altrettanto gravi nel medio periodo.
A parte l’aumento della pressione fiscale, poi, è difficile individuare una ‘medicina forte’ adottata dalle istituzioni in questi ultimi anni per incidere veramente in questo snodo cruciale della storia.
Forze di conservazione ancora vincenti
Cosa ci dobbiamo aspettare dai prossimi anni? Nessuno ha la palla di vetro, ovvio, ma alcuni elementi sono altamente probabili. La generazione dei 30-40enni sarà la prima nella recente storia del Friuli a invertire la tendenza di crescita del benessere, risultando più ‘povera’ di quella che l’ha preceduta. Le forze di conservazione, che difendono posizioni acquisite nella società (pensionati, dipendenti pubblici), ancora per alcuni anni rimarranno preponderanti rispetto a quelle di cambiamento, che sentono cioè i ‘morsi della fame’, come imprenditori, artigiani, disoccupati e lavoratori nei settori privati.
La valvola di sfogo dell’emigrazione è oggi alla portata solo di persone qualificate, con conseguente depauperamento intellettuale del Friuli. L’anno scorso, circa 5.000 cittadini del Friuli Venezia Giulia, in gran parte giovani laureati, hanno trasferito all’estero la propria residenza. Inoltre, l’apporto alla ricchezza interna di questa nuova emigrazione attraverso le rimesse non può essere ancora significativo, come è avvenuto nel secolo passato.
L’attuale welfare pubblico nella nostra regione sarà sempre più difficile da sostenere: prima di arrivare a un ‘taglio’ delle cure salvavita, come le operazioni chirurgiche, ci saranno nuove riduzioni dei presidi medici, dei posti letto e un allungamento delle liste d’attesa. Anche perché, a fronte di un contenimento della spesa sanitaria, la domanda di cure e assistenza continua a crescere con l’invecchiamento della popolazione.
Tutto questo è evitabile? Sì, ma sono necessari almeno tre presupposti: consapevolezza più diffusa tra la popolazione, anche attraverso la leva dell’informazione; classe dirigente politica con obiettivi oltre al singolo mandato; maggiore cultura del sacrificio e dell’impegno, che sarà il caso di rispolverare dal cassetto.