La Corte d’Assise di Gostivar, in Macedonia, ha condannato all’ergastolo la 29enne Blerta Pocesta per il triplice omicidio dei genitori e della sorellina Anila, 14enne. Si tratta della strage commessa a colpi di pistola nella notte del 25 agosto 2018 nella cittadina macedone di Debar, ma che aveva profondamente colpito anche la comunità di Sacile, dove la famiglia lavorava e viveva da molti anni.
Poco prima della loro tragica morte, infatti, i coniugi avevano acquistato una villetta con giardino a Cornadella (nella foto). Il padre Amit, 54enne, lavorava come operaio nell’officina meccanica Vinal mentre la madre Nazmije, 53 anni, laureata in chimica nel Paese d’origine, era dipendente di un’impresa di pulizie della zona; con loro vivevano anche le tre figlie di 29, 22 e 14 anni.
I genitori e la ragazza più giovane nell’estate 2018 erano tornati nel paese d’origine, a Debar, per partecipare a un matrimonio. Ma la mattina del 25 agosto i parenti non li avevano visti arrivare e si erano preoccupati perché non rispondevano al telefono: entrando nella camera da letto, li avevano trovati tutti e tre assassinati a colpi di pistola.
Erano subito scattate le indagini, che hanno visto impegnata la Procura della Repubblica di Pordenone in raccordo con quella macedone, grazie al coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e del Servizio Cooperazione Internazionale di Polizia, con il contributo della Squadra Mobile di Pordenone e del Servizio Polizia Scientifica.
LE INDAGINI. Dai primi elementi raccolti, era emerso che per la strage era stata utilizzata una pistola calibro 7.65 e le vittime erano state uccise con un singolo colpo, sparato a bruciapelo nel sonno. L’assassino era entrato nel villino da una finestra aperta al piano terra intorno alle 3 del mattino e aveva freddato dapprima la coppia, non esitando poi a freddare anche alla ragazzina nel suo letto.
Emergevano riscontri in merito ad alcuni dissapori tra le vittime e un loro parente, residente in provincia di Treviso, per questioni legate alla proprietà di alcuni terreni in Macedonia, ma l’uomo era risultato fin da subito estraneo alla vicenda ed era stato quindi escluso dalla lista dei sospetti.
La Procura di Pordenone, ipotizzando che il movente del delitto potesse essere maturato a Sacile, aveva, quindi, delegato la Squadra Mobile, coordinata dal procuratore Raffaele Tito e dal sostituto Monica Carraturo, ad acquisire tutti gli elementi utili alla ricostruzione dei fatti e alla acquisizione di eventuali fonti di prova in relazione al delitto.
Grazie ai controlli eseguiti sulle liste passeggeri dei voli in arrivo a Skopje nei giorni precedenti il delitto e precisamente il 25 agosto, era emerso come Blerta avesse viaggiato su un volo proveniente da Vienna, per poi ripartire il giorno successivo per fare rientro in Italia via Belgrado; tutte informazioni che la ragazza aveva nascosto alla Polizia Macedone. Anche attraverso la visione delle immagini dell’impianto di video sorveglianza dell’Aeroporto Marco Polo di Venezia, la giovane era stata filmata da sola al momento dell’imbarco e poi del suo rientro.
A Skopje la ragazza si era cambiata nel bagno dell’aeroporto ed era salita su un taxi, che l’aveva accompagnata fino a Gostivar, cittadina macedone esattamente a metà strada tra l’aeroporto e Debar. Lì, grazie all’analisi dei tabulati eseguita dalla polizia pordenonese, è emerso che Blerta aveva cercato di mettersi in contatto con uno dei suoi complici.
L’Ufficio investigativo della Questura di Pordenone, l’1 settembre 2018, aveva quindi eseguito una perquisizione nella villetta della famiglia, in viale Trento, nel corso della quale erano stati sequestrati documenti, schede telefoniche e Pc, prima che fossero posti i sigilli all’intero immobile.
Quel giorno, si era presentato spontaneamente negli uffici della Questura il compagno della ragazza, che aveva riferito di essersi recato quel pomeriggio all’aeroporto di Lubijana, dove aveva atteso invano l’arrivo della fidanzata; preoccupato, aveva contattato anche l’Ambasciata Italiana a Skopje, senza avere però ottenuto notizie precise.
Nel frattempo, la Polizia scientifica aveva iniziato ad analizzare gli indumenti indossati dalla ragazza durante il viaggio, eseguendo gli accertamenti tecnici per l’individuazione di tracce organiche e materiale biologico di rilievo probatorio. Proprio grazie a questi elementi, i sospetti hanno iniziato a concentrarsi sulla figlia maggiore delle vittime.
IL MOVENTE. Per poter svelare un eventuale movente per gli omicidi, si è quindi proceduto ad accertamenti di natura finanziaria, in particolare sul mutuo che i genitori avevano acceso per l’acquisto della villetta sacilese; la somma chiesta alla banca, 100mila euro, era stata accreditata sul conto corrente personale di Blerta, che aveva provveduto a pagare regolarmente le rate mensili. Ma la famiglia aveva sottoscritto anche due polizze assicurative ‘proteggi-mutuo’, una intestata alla vittima e una alla sospettata. Emergeva, quindi, un possibile movente economico alla base della strage.
Grazie a questi elementi, il 3 settembre le autorità giudiziarie macedoni avevano fermato la ragazza e i due complici, un uomo del 1987 e lo zio, classe 1957 del posto, che l’avevano aiutata.
I due macedoni sono a loro volta stati condannati, rispettivamente a dieci anni il nipote e a tre anni di reclusione lo zio, per aver il primo dato assistenza alla giovane nei movimenti in madrepatria e il secondo per aver procurato l’arma del delitto, una pistola semiautomatica clandestina.
Nell’interrogatorio, la giovane aveva confessato la strage e raccontato di aver ‘assoldato’ sul Facebook la sua ‘scorta’, pagata 700 euro, e di aver poi recuperato la pistola, per 400 euro, dallo zio del ragazzo, utilizzandola per freddare i genitori e la sorellina.